Cari amici, questo blog è stato creato per avere un contatto diretto con tutti voi. Sono sempre disponibile per chiunque abbia bisogno di un aiuto, un sostegno o semplicemente un consiglio in materia di diritto di famiglia, civile o penale. Vi terrò informati sulle più interessanti novità legislative e giurisprudenziali e terrò una rubrica nella quale periodicamente aggiornerò i miei interventi più recenti, pubblicati sulla carta stampata.
martedì 31 maggio 2016
lunedì 23 maggio 2016
CAMBIARE IL COGNOME: COME AGGIUNGERE IL COGNOME DELLA MADRE A QUELLO DEL PADRE
Talvolta possono verificarsi situazioni che portano a sentire l'esigenza di cambiare il cognome o il nome che una persona ha dalla nascita. Per fare ciò è però necessario aver ricevuto l'autorizzazione del Prefetto.
Tradizionalmente il figlio di una coppia alla nascita prende il solo cognome del padre. Tuttavia la legge riconosce alcuni mezzi grazie ai quali è possibile modificare, in particolari casi, il cognome e il nome [1].
È infatti possibile chiedere che venga aggiunto il cognome materno a quello del padre o addirittura che il cognome paterno venga sostituito con quello della madre, in base al caso concreto.
Ciò può avvenire per vari motivi come ad esempio avere un cognome ridicolo o vergognoso, ma anche per molti altri motivi come in seguito a un provvedimento del Giudice.
Come ottenere la modifica
Per ottenere la modifica del cognome del figlio occorre fare una richiesta al Prefetto della provincia del luogo di residenza o del luogo nella cui circoscrizione si trova l'ufficio dello stato civile in cui è stato registrato l'atto di nascita.La richiesta deve essere motivata. Tra le varie giustificazioni ci può essere, ad esempio, l'esistenza di un legame particolarmente profondo e affettivo fra madre e figlio oppure l'appartenenza della madre ad una famiglia famosa, con possibili vantaggi per il figlio derivanti dall'aggiunta del cognome materno. Ma la richiesta può anche essere affiancata a un provvedimento del giudice come quello che dichiara la decadenza della responsabilità genitoriale. In questo caso, il genitore non decaduto potrà presentare la domanda senza che sia necessario il consenso dell'altro.
Ricevuta la richiesta, il Prefetto effettua le proprie valutazioni e, se ritenute valide le motivazioni, trasmette il fascicolo al Ministero dell'Interno affinché emetta il decreto di accoglimento. Il decreto di accoglimento dovrà essere affisso presso il Comune di residenza per 30 giorni e, se previsto, notificato a quelle persone ritenute interessate dalla modifica cosi da informarle della possibilità di opporsi.
Se entro questi 30 giorni nessuno si oppone, il decreto diventerà definitivo e i genitori dovranno presentare in Prefettura una copia dell'avviso di affissione e una relazione del funzionario comunale che attesta l'effettiva affissione per 30 giorni.
A questo punto, il Prefetto emana un decreto con cui autorizza il cambiamento del cognome.
Se il Prefetto ritiene invece di non accogliere detta istanza dei genitori o del figlio maggiorenne, gli interessati potranno proporre ricorso al Tar entro 60 giorni oppure il ricorso straordinario al Capo dello Stato entro 120 giorni dalla notifica.
[1] D.P.R. n. 396 del 3 novembre 2000, artt. 89-94
ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE: COSA SUCCEDE IN CASO DI TRASFERIMENTO DEL CONIUGE?
ASSEGNAZIONE
DELLA CASA FAMILIARE: COSA SUCCEDE IN CASO DI TRASFERIMENTO DEL
CONIUGE?
Nel
caso in cui il coniuge al quale era stata assegnata la casa coniugale
si trasferisca altrove, il coniuge comproprietario può presentare
istanza al fine di ottenerne a sua volta l'assegnazione.
La
vicenda [1].
In
sede di divorzio,
il Presidente del Tribunale, confermando quanto disposto con la
separazione, assegnava alla moglie la casa nella quale i coniugi
avevano vissuto e cresciuto i propri figli e della quale entrambi
erano proprietari nella misura del 50% ciascuno.
Dopo
qualche tempo però la moglie si trasferiva
a vivere con il nuovo compagno e i figli in un altro Comune,
abbandonando di fatto l'immobile a lei assegnato.
In
virtù di ciò, essendo ancora in corso la causa per il divorzio, il
marito richiedeva al Tribunale la modifica della precedente
decisione. In particolare, lo stesso richiedeva:
- l'assegnazione dell'immobile a lui, cosi che potesse andarci a vivere con i propri figli
- la riduzione del contributo al mantenimento dei figli alla luce del fatto che i bambini trascorrevano di fatto lo stesso periodo di tempo con il padre e con la madre
La
decisione.
Il
Giudice revocava
l'assegnazione della casa coniugale alla moglie, assegnando la stessa
al marito.
La
decisione del Giudice si fondava sui seguenti punti:
- la legge prevede che l'assegnazione dell'abitazione coniugale sia riconosciuta tenendo conto dell'interesse dei figli a continuare a vivere nell'ambiente in cui sono cresciuti.
- Per tale motivo la casa può essere assegnata anche al genitore non collocatario ovvero il genitore con il quale i figli non vivono abitualmente e al quale è riconosciuto il diritto di visita e l'obbligo di contribuire al loro mantenimento
- nel caso di specie, inoltre, i figli erano di fatto collocati presso entrambi i genitori, vivendo 6 giorni su 14 dal padre, presso il quale restavano anche a dormire
Sviluppi
successivi [2]
La
moglie che si era già trasferita nel nuovo immobile, in un primo
momento, prima della pronuncia del Tribunale, si era dichiarata
disponibile al trasferimento del marito nell'immobile a patto che le
versasse un'indennità di occupazione.
In
seguito, la donna mutava totalmente la propria posizione, decidendo
di impugnare l'ordinanza con la quale le era stata revocata
l'assegnazione dell'immobile.
Tuttavia,
trattandosi di provvedimenti che possono in ogni momento essere
modificati o revocati durante il procedimento dallo stesso giudice
che le ha pronunciate, l'impugnazione
proposta dalla signora veniva dichiarata inammissibile.
A
distanza di tempo il padre vive ora stabilmente in quella che era
l'abitazione familiare, immobile che condivide con i propri figli che
trascorrono con lui praticamente lo stesso tempo che trascorrono con
la madre.
[1]
Tribunale di Prato, ordinanza del 22/12/2015
[2]
Tribunale di Prato, ordinanza del 16/03/2016
lunedì 2 maggio 2016
INVALIDITA' CIVILE: A CHI SPETTA, COME RICHIEDERLA E VICENDE SUCCESSIVE AL VERBALE.
INVALIDITA' CIVILE: A CHI SPETTA, COME RICHIEDERLA E VICENDE SUCCESSIVE AL VERBALE.
Coloro
che sono affetti da malattie e menomazioni permanenti possono
richiedere l'accertamento dello stato di invalido civile e il
conseguente riconoscimento di benefici di carattere economico e
sanitario.
Chi
ne ha diritto:
Il
riconoscimento dello stato di invalido civile spetta a coloro i quali
siano infermi. La minorazione può essere di natura fisica, psichica
o sensoriale. Questa comunque deve provocare la limitazione o la
perdita della capacità lavorativa in misura superiore a 1/3.
Sono
considerati invalidi civili anche i minori e gli
ultrasessantacinquenni con difficoltà a svolgere le funzioni proprie
della loro età.
Come
presentare la domanda:
La
procedura si articola in tre fasi e il tempo massimo intercorrente
tra la prima fase e l'erogazione dei benefici è di 120 giorni.
1.
Il primo passo da compiere è quello che coinvolge il medico di base.
Spetta a lui infatti presentare il certificato medico telematico con
il quale segnala all'INPS le malattie di cui risulta essere affetto
il paziente.
Completata
l’acquisizione online del certificato, il medico rilascerà al
paziente l'attestato di trasmissione nonché la copia originale del
certificato firmata dallo stesso. Nel caso di richiesta di visita
domiciliare, il medico consegnerà al richiedente anche il
certificato di intrasportabilità del paziente.
- Il passaggio successivo consiste nella presentazione della domanda di riconoscimento dei benefici all'INPS. Ciò deve essere fatto entro 30 giorni, periodo di validità del certificato medico.Il cittadino può presentare direttamente la domanda all'INPS, qualora sia in possesso del codice PIN per accedere al portale telematico, oppure rivolgendosi a patronati o associazioni di categoria.N.B. La domanda telematica dovrà essere compilata in OGNI sua parte, avendo cura di inserire il numero del certificato rilasciato da medico, già registrato online, cosi da poter consentire l'abbinamento delle due fasi.
- Il terzo ed ultimo step consiste nella visita medica di accertamento presso la Commissione ASL integrata da un medico INPS, nella data che è stata comunicata all'interessato a mezzo raccomandata. Alla visita il soggetto interessato dovrà presentarsi munito di documento d'identità, del certificato medico in originale sottoscritto e di tutta la documentazione sanitaria attestante il suo stato di salute. Qualora lo ritenga necessario ed utile, potrà anche farsi assistere dal proprio medico di fiducia.
Nel
caso in cui vi sia una prima assenza ingiustificata, la commissione
provvederà ad una nuova convocazione. Due
assenze consecutive saranno considerate come una rinuncia, ritenendo
che il soggetto non abbia più interesse a godere dei benefici
previsti.
Al
termine della visita viene redatto il verbale elettronico. Il
verbale, di accoglimento o di rifiuto, dovrà poi essere validato
dall'INPS che provvederà all'invio al richiedente.
Cosa
fare in caso di accoglimento:
In
caso di verbale di accoglimento e di conseguente riconoscimento di un
beneficio economico l’interessato dovrà completare online,
personalmente o tramite il Patronato, la domanda con tutti i dati
necessari per l’accertamento dei requisiti socio economici e per la
relativa erogazione.
Cosa
fare in caso di rigetto:
In
caso di verbale di rigetto, l'interessato potrà rivolgersi ad un
legale di fiducia al fine di presentare ricorso, entro 180 giorni
dalla notifica, dinanzi al Tribunale territorialmente competente. In
questo caso è consigliabile rivolgersi allo stesso tempo ad un
medico legale che attesti lo stato di salute dell'interessato cosi da
poter porre la sua relazione a sostegno delle richieste presentate
con il ricorso.
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