venerdì 30 novembre 2012

NUOVA CONVIVENZA DELL'EX-MOGLIE? RESTA L'OBBLIGO DEL MANTENIMENTO.




Con questo post del venerdì, su esplicita richiesta di un lettore, risponderò ad una frequentissima domanda che non solo lui, ma molti di voi (obbligati al mantenimento della ex - moglie) mi fanno: 
" Ma se la mia ex c'ha un altro, devo pagare lo stesso?".
La risposta è (purtroppo) SI. Ovviamente valutando la situazione caso per caso. 
A tal proposito infatti, una dura spallata è stata inferta quest'anno dalla Suprema Corte con la recentissima sentenza n. 3923 dello scorso 12 marzo 2012..
Di fatto, per gli obbligati al versamento di quest’assegno, i problemi sembrano non avere mai fine.
L’interpretazione nomofilattica degli Ermellini è stata senza dubbio sfavorevole per coloro che speravano di liberarsi di questa “tassa” una volta che la ex fosse andata a convivere con un'altra persona.
Ebbene così non è stato.
La legge prevede che il coniuge più abbiente debba versare il mantenimento, garantendo lo stesso tenore di vita che c’era in costanza di matrimonio, nei confronti dell’ex marito/moglie, finché il beneficiario non passi a nuove nozze o finché non conviva con altra persona more uxorio.
Nel caso di specie, tuttavia, i Giudici di legittimità invece di favorire l’obbligato, restringendo i principi di derogabilità dell’assegno, li hanno ampliati.
La persona avente diritto al mantenimento, casalinga, era andata a convivere con altra persona. Il giudice di merito aveva ritenuto questo sufficiente a far cessare l’obbligo dell’ex marito nei suoi confronti.
La Cassazione è stata però di diverso avviso, capovolgendo la decisione di merito.
A detta della Corte, per escludere il trattamento economico, è necessario che il nuovo mènage abbia le caratteristiche di un modello di vita caratterizzato dalla continuità e dalla consistenza degli apporti economici da parte del nuovo convivente del richiedente il trattamento economico.
Infatti, osservano gli ermellini, uniformandosi a propri precedenti, “la convivenza del coniuge con altre persone avente carattere occasionale o temporaneo, non incide di per sé direttamente ed in astratto sull’assegno di mantenimento”.
In tal caso la corresponsione dell’assegno sarebbe dunque giustificata solo laddove il primo instauri una convivenza con altra persona che assuma i caratteri di stabilità e continuità, trasformandosi in una vera e propria famiglia di fatto».
La nozione di famiglia di fatto, significativa a questo proposito, richiede che i conviventi elaborino un progetto e un modello di vita in comune analogo a quello che, di regola, caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio, con un arricchimento e un potenziamento reciproco della personalità dei conviventi, la trasmissione di valori educativi ai figli e cose simili.
Nel caso di specie era stata troppo frettolosa la valutazione dei giudici di merito che, nell’escludere l’obbligo del mantenimento, non avevano vagliato la ricorrenza di tutti questi altri presupposti.
Orbene, alla luce di ciò e di questo orientamento oramai consolidato della Suprema Corte, appare forse necessario svolgere alcune considerazioni.
Con il numero di separazioni, e di divorzi che costellano il panorama giudiziario italiano, da ormai troppo tempo assistiamo a sperequazioni economiche perpetrate dai coniugi separandi volte solo ed esclusivamente ad un arricchimento economico senza freno alcuno e volta ad impoverire l’obbligato più del necessario .
Su questo punto, con le recenti pronunce, di certo il percorso intrapreso dalla Cassazione non è condivisibile, tutt’altro.
Servirebbe, a mio parere, un disincentivo a questa “corsa al mantenimento”, che con ogni probabilità potrebbe avere come primo e fondamentale passo  l’individuazione di criteri assai più restrittivi per l’erogazione dell’assegno di mantenimento, che dovrebbe partire in primo luogo dai giudici.
 In tal modo (forse) si finirebbe di contrarre matrimoni che poi puntualmente finiscono in separazioni scontate e caratterizzate dal solo e unico obbiettivo di lasciare “in mutande” l’obbligato, per buona pace degli avvocati.
In tal modo infatti  si finisce per distruggere non solo economicamente un famiglia, ma si mettono sotto le scarpe anche tutti in principi etici e morali che dovrebbero caratterizzare il vincolo matrimoniale.
Guglielmo Mossuto.

lunedì 26 novembre 2012

DIMISSIONI DEL LAVORATORE: ANNULLAMENTO. QUANDO è POSSIBILE?


- Sperando di fare una cosa gradita a molti dei miei lettori, vorrei svolgere alcune precisazioni in riferimento ad una materia assai delicata come il diritto del lavoro, con specifico riferimento alle dimissioni presentate in situazioni particolari, ad es. perchè indotte dal datore di lavoro
Molti di Voi, in diverse sedi, mi hanno fatto la medesima domanda: "Avvocato, ho già consegnato le mie dimissioni, è possibile annullarle??".
A tal proposito, e per rispondere a tanti di voi che si sono trovati in questa spiacevole situazione, è necessario fare una preliminare precisazione.
Le dimissioni del lavoratore, rassegnate sotto minaccia di licenziamento per giusta causa, sono suscettibili di essere annullate per violenza morale solo qualora venga accertata l’inesistenza del diritto del datore di lavoro di procedere al licenziamento.
Tale inesistenza sussiste quando non vi sia alcun inadempimento da poter addebitare al dipendente, 'costretto alle dimissioni'.
Differentemente se le dimissioni sono state rese in stato di incapacità di intendere e di volere, non è necessario accertare che il lavoratore fosse, al momento dell’atto, in uno stato di totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che tali facoltà siano risultate diminuite in modo tale da impedire la formazione di una volontà cosciente.
Quando ci troviamo poi di fronte alla permanenza del rapporto di lavoro ripristinato in conseguenza della nullità delle dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di interdizione di cui all’art. 1 della L. n. 7 del 1963 (dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino a un anno dopo la celebrazione dello stesso), ripristinabile a semplice richiesta della lavoratrice, si esclude l’indennizzabilità dello stato di disoccupazionealla stregua della normativa previdenziale.
Ancora, nel caso di annullamento per violenza morale delle dimissioni o della risoluzione consensuale, sono dovute al dipendente le retribuzioni maturate medio tempore, essendo irrilevante che il dipendente stesso abbia o no formalmente offerto la propria prestazione al datore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione di fatto del rapporto.
Invece, in caso di licenziamento seguito da dimissioni del lavoratore, in mancanza della prova rigorosa dell’esistenza di una più ampia e complessa fattispecie di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro – il cui onere incombe sulla parte che intenda avvalersene – le dimissioni sono nulle in quanto atto mancante di causa essendo il rapporto di lavoro già estinto a seguito del recesso intimato dal datore di lavoro.
Da queste poche nozioni, appare evidente la complessità della materia. 
Vi invito dunque, qualora avesse intenzione di presentare le dimissioni, o quand'anche foste stati obbligati a presentarle, di rivolgervi sempre al Vostro legale di fiducia il quale potrà indicarvi le modalità d'azione più consone per preservare i vostri diritti di lavoratore.
Disponibile per qualsiasi chiarimento in merito, vi saluto.
Guglielmo Mossuto

CRISI DI COPPIA? LA CASSAZIONE GIUSTIFICA IL TRADIMENTO.




Care donne, fate attenzione!
Ancora una volta la Corte di Cassazione fa notizia.
in tema di separazione ed addebitabilità della stessa, riesce (in certi casi) addirittura a “giustificare” il tradimento.
Anche se vostro marito ha un'amante, evitate accuratamente di esprimere qualsiasi giudizio o future intenzioni sulla volontà di avere dei figli.
Tali  confessioni perché potrebbero pesantemente ritorcersi contro di voi.
Questo è ciò che emerge dalla lunga causa di separazione iniziata nel 2007 in quel di Bolzano.
Una donna si era separata dal marito, reo di avere una relazione con la sua segretaria (che cliché!) da anni. Il Tribunale in primo grado, (a mio avviso giustamente), aveva dato ragione alla donna, nonostante il marito avesse giustificato il suo tradimento con l'espressa volontà della moglie di non desiderare figli dal compagno. 
Ebbene, offeso nell'orgoglio l’ex-marito aveva pensato bene di trovare conforto in lidi più accoglienti.
Diversamente, la giustificazione proposta dal fedifrago è stata accolta dalla Corte d'Appello alla quale l'uomo si era rivolto.
La Corte territoriale, ribaltava di fatto la sentenza del Tribunale, dichiarando che al coniuge fedifrago non potesse addebitarsi la colpa della separazione giacché la relazione extra-coniugale era iniziata dopo che lui aveva inavvertitamente sentito una conversazione tra la ex e sua sorella, in cui la prima rimarcava di non voler figli da suo marito.
La signora però non ha voluto arrendersi e si è rivolta alla Suprema Corte.
In questa sede la donna ha giocato i suoi due assi al fine di ottenere l’addebito della separazione all'ex marito: 1) la relazione era iniziata ben un anno prima della telefonata con la sorella in seguito “inavvertitamente ascoltata dal marito”; 2) la telefonata era un semplice (e umano) sfogo della donna, "un momento d'ira", dopo aver scoperto il tradimento del marito.
La Prima Sezione civile della Cassazione, investita della questione, non ha sentito ragioni e , con la sentenza n. 16089/2012, ha respinto il ricorso. Avere un'amante, secondo la Cassazione è assolutamente giustificato in un caso come questo, in cui la moglie dichiara espressamente di non volere figli dal proprio marito.
Gli ermellini hanno precisato che "l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, da solo, non può giustificare addebito qualora una tale condotta sia successiva al verificarsi di una accertata situazione di intollerabilità della convivenza ".
Aggiungendo anche che la telefonata in sé per sé "non dimostra tanto una chiara e consolidata volontà di non avere figli" ma bensì e' la spia di "una situazione di crisi" e fa emergere "la preoccupazione di lei per la fine del rapporto".
Superfluo soffermarsi sulla gravità di queste considerazioni.
Appare ormai evidente che, specialmente in tema di  diritto di famiglia, ciò che dovrebbe essere l’eccezione, diventa la  normalità.
In tal modo non si fa altro che svalutare sempre più l’istituto, costituzionalmente garantito, della famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”.
Non resta dunque che mettervi in guardia: care lettrici, pesate bene le parole durante le vostre conversazioni telefoniche se non volete finire cornute e mazziate! 
Che ne pensate? 


giovedì 22 novembre 2012

CONTRAVVENZIONE E DATI DEL CONDUCENTE. QUANDO COMUNICARLI?

Con il mio intervento di oggi tenterò di rispondere ad un quesito che negli ultimi tempi mi è stato posto assai di frequente in materia di multe e contravvenzioni.
Accade di sovente che il proprietario di un veicolo, auto o moto che sia, riceva a casa delle sanzioni amministrative a seguito di infrazioni al codice della strada, dei quali però non sono stati gli autori (ad es. presto la macchina ad un amico o parente).
In questi casi il proprietario deve fornire all'Ufficio di Polizia competente, le generalità del conducente al momento dell'infrazione con riferimento al verbale di contestazione, al fine di poter elevare la sanzione accessoria di diminuzione dei punti sulla patente.
Qualora tale indicazione non venisse fornita entro un dato termine (pari a 60 gg dalla notifica), saremo obbligati a pagare una multa accessoria in luogo della decurtazione di punti.
Ma ciò che fino ad oggi non era chiaro è da quando inizia a decorrere il termine per la comunicazione dei dati del conducente?
La persistente incertezza sul punto è stata finalmente fugata da una recentissima sentenza della Corte di Cassazione.
Il proprietario dell'auto oggetto della sanzione aveva proposto opposizione avverso il verbale della Polizia Municipale con il quale gli era stata contestata la violazione dell'art.180 c.d.s. per non aver fornito all'Ufficio, le generalità del conducente.
Secondo il Tribunale di Potenza "la sanzione pecuniaria irrogata sul presupposto della mancata ottemperanza all'obbligo di collaborazione, deve considerarsi illegittima in quanto l'obbligo, sino a che la contestazione non è definita, può sempre essere assolto dal proprietario interessato  e non potrà considerarsi inadempiuto scaduti i 60 giorni dalla notificazione del verbale."
Piazza Cavour ha invece ribaltato le considerazioni del Giudice di merito.
La Corte di Cassazione, VI sez. civ., ha accolto il ricorso del Ministero dell'Interno, in quanto "in tema di sanzioni amministrative conseguenti a violazioni del codice della strada, il termine entro cui il proprietario del veicolo è tenuto - ai sensi dell'art. 126-bis, secondo co.- a comunicare all'organo di polizia che procede i dati relativi al conducente, non decorre dalla definizione del procedimento do opposizione avverso il verbale di accertamento, ma dalla richiesta rivolta al proprietario", senza che quest'ultimo possa soprassedere alla richiesta in attesa della definizione della contestazione dell'illecito.
Si evince dunque che il termine ultimo in cui presentare i dati del conducente  decorre SEMPRE dalla richiesta effettuata dalla Polizia Municipale e NON dalla definizione dell'eventuale procedimento di opposizione avverso il verbale.
Tale individuazione del termine è di fondamentale importanza.
La tempestiva proposizione di un'opposizione a sanzione amministrativa garantisce che il ricorso stesso venga analizzato dal Giudicante nel merito e che non venga rigettato per avvenuta scadenza del termine, che, in casi analoghi ha spesso portato ad un vuoto di giustizia.
In definitiva, se vogliamo fare opposizione agiamo il più in fretta possibile.
Guglielmo Mossuto


mercoledì 21 novembre 2012

E-MAIL ALL'EX? NON è REATO DI MOLESTIE.

La Corte di Cassazione ha finalmente messo un punto su un questione che, specialmente negli ultimi tempi, aveva affollato le aule dei Tribunali.
Con la sentenza n. 44855 del 16/11/2012, gli Ermellini hanno sancito la NON configurabilità del reato di molestie sessuali per l'ex fidanzato che continua a inviare e-mail all'ex compagna.
Nella fattispecie analizzata in sentenza, la Suprema Corte ha accolto il punto del ricorso in cui la difesa lamentava l'errore in cui era inciampata la Corte d'appello di Milano nel qualificare con il reato di molestie anche la condotta costituita dall'invio e-mail.
Tali messaggi infatti, a differenza degli sms ( short message service) inviati su utenze telefoniche mobili, non hanno carattere di invasività, e quindi, il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Tuttavia , la prudenza non è mai troppa.
Onde evitare spiacevoli inconvenienti ed eventuali denunce penali, meglio non sbizzarrirsi troppo in lunghe lettere via mail, nelle quali magari insultate i vostri ex. Pur non essendo reato tempestarli di mail, forse certe cose è sempre meglio dirle di persone.
Guglielmo Mossuto

domenica 11 novembre 2012

#AVVOCATOMOSSUTOVITAINDIRETTA - puntata del 12 Ottobre 2012 - Avv. Guglielmo Mossuto. Un caso di accanimento di Banche ed Assicurazioni.




In questo mio primo intervento alla nota trasmissione in onda su Rai 1 "La vita in diretta" mi sono occupato di  un caso tanto interessante quanto shockante, tanto da attirare ben presto l'attenzione dei media a livello nazionale.
Purtroppo la vittima era ancora una volta una povera donna, mentre il "carnefice" era un noto istituto bancario ed una grande compagnia d'assicurazione.
 E' la storia di una ragazza di 26 anni, che il 18 settembre 2004 muore in un incidente in moto: un’auto pirata la travolge e la uccide. 
Qualche giorno dopo la morte, accade che la madre di questa ragazza, va alla banca dove la ragazza, due anni prima di morire, aveva acceso un mutuo da 93mila euro per comprare una casa . 
 A quel mutuo si accoppia una polizza assicurativa per il rischio morte: «Non si preoccupi signora — le dicono l’allora direttore della filiale e un altro funzionario —: c’è l’assicurazione, non deve pagare più nulla». E infatti, dal mese successivo alla morte della ragazza, dal conto corrente la banca non preleverà più la rata.
NULLA più accade fino all’8 marzo 2010, quando la signora  riceve una raccomandata e scopre così di aver appena ricevuto un atto di precetto da parte di una società di recupero crediti facente capo alla banca.
 Nell’atto si accusa la donna di non aver più pagato il mutuo e che il debito è salito a 116mila euro. Un mese più tardi scatta addirittura l’atto di pignoramento immobiliare. Perché? Perché la compagnia assicurativa dice di non aver mai ricevuto la documentazione necessaria per la liquidazione di quel che rimaneva del mutuo. Peccato che i funzionari della banca le avessero detto il contrario, cioè che tutto era in regola, e peccato che negli ultimi cinque anni nessuno le avesse sollecitato alcunché. E qui avviene la svolta. La donna torna a parlare con i primi due funzionari e lo fa ‘armata’ di un registratore nascosto. La trascrizione dei colloqui finirà mesi più tardi in tribunali e per la banca e la compagnia assicurativa il colpo è definitivo: si ammette che la polizza c’era, che la documentazione è stata probabilmente perduta e che pertanto sarebbero avvenute gravi negligenze da parte degli uffici delegati alla gestione della pratica. 
A settembre 2010 la nota compagnia assicurativa cede e liquida circa 87mila euro, l’ammontare residuo del mutuo al momento della morte della ragazza. Ma non è ancora finita. Un mese dopo viene depositata ugualmente un’istanza di vendita dell’immobile perché ‘ballano’ ancora 26mila euro di interessi e spese legali che la banca vuole far pagare alla donna. Scatta così un’opposizione incidentale all’esecuzione che finisce come doveva finire: la società di recupreo crediti si arrende e paga. E’ il settembre dell’anno scorso.
A seguito di questa incresciosa vicenda è stata depositata presso il Tribunale di Prato un atto di citazione per danni, in favore della Signora diretta a banca e compagnia assicurativa.
Francamente trovo assolutamente INCONCEPIBILE in un paese come l'Italia, che questi colossi economici quali banche edassicurazioni nazionali ed internazionali non si preoccupino delle reali condizioni delle persone pur di realizzare i propri interessi SOLO ED ESCLUSIVAMENTE ECONOMICI.
A mio parere è giusto che paghino, ed anche tanto, quando succedono questi episodi incresciosi che non fanno altro che far perdere ancora di più la fiducia, da anni ai minimi storici, in banche  e compagnie assicurative.
Coloro che dovrebbero sostenerci nei momenti di difficoltà non solo ci voltano le spalle ma appena possono ne approfittano.
Guglielmo Mossuto

#AVVOCATOMOSSUTOLAVITAINDIRETTA La Vita in Diretta - puntata del 1 Novembre 2012 - Avv. Guglielmo Mossuto. IL FURTO D'IDENTITà: LA TRUFFA DEL DATORE DI LAVORO.




Ebbene si. Ancora una volta la realtà ha superato la fantasia.
La situazione in cui, da un giorno all'altro, si è trovato il signor Tarantino, protagonista di questa storia assurda, ha dell'incredibile.
Che il nostro sia ormai un paese in piena crisi è notizia di tutti i giorni, e (purtroppo) quasi non fa più scalpore che un onesto lavoratore  da un giorno all'altro venga messo in Cassa Integrazione.
Ma che il lavoratore stesso lo venga a sapere dall'INPS, peraltro con truffa annessa, è qualcosa di inammissibile.
Al momento della comunicazione da parte dell'Istituto Nazionale di Previdenza dell'avvenuto passaggio al regime di cassa integrazione, il Sig. Tarantino scopriva che l'intera indennità, erogata mensilmente dall'Ente, veniva sistematicamente  versata su di un conto corrente intestato al Tarantino stesso, in una filiale di una banca di un paesino del Nord-Italia. Peccato che il mio cliente in quel paesino non ci sia mai stato e forse nemmeno ne conosceva l'esistenza.
Stupito e senz'altro incuriosito dalle affermazioni dell'impiegato dell'Inps, il Sig. Tarantino indagava più a fondo fino a scoprire che non solo i soldi venivano versati su questo fantomatico conto a lui intestato (furto d'identità), e che gli stessi soldi venivano subito dopo girati sul conto corrente intestato al proprio datore di lavoro (!!!!!).
La stessa persona che pochi mesi prima aveva dato il benservito al Sig. Tarantino...
Oltre al fatto che sarebbe impensabile attuare questo giro di danaro senza la necessaria connivenza di un impiegato della banca stessa, la storia ha senza dubbio dell'incredibile.
IL Sig. Tarantino licenziato e truffato.
In sostanza questo datore di lavoro, appropriandosi indebitamente dell'identità del mio cliente, attraverso l'apertura di un conto a suo nome, rubava a quest'ultimo l'indennità di disoccupazione da egli stesso procurata.
Non si finisce mai di imparare!
Ovviamente nei confronti di questi personaggi si sta agendo in via legale e si sta occupando la magistratura, non solo per i reati commessi ma anche per furto d'identità e conseguente risarcimento danni al malcapitato.
Ciò detto, non resta che qualche breve ma fondamentale riflessione.
Ascoltando queste storie e conoscendo personalmente queste persone, non posso che rammaricarmi.
In un paese dove gli onesti sono ormai in pochi, sono sempre questi ultimi a pagare per tutti.
In balia di gente che, come avviene per Banche ed assicurazioni, si approfittano della buona fede delle persone per potere arricchirsi alle loro spalle, lasciandoli, il più delle volte, senza nulla.
Senza lavoro, e senza i risparmi di una vita (aggrediti dalle banche alla prima rata non pagata) cosa ci rimane? Nulla, solo un pugno di mosche e tanta rabbia.
Guglielmo Mossuto