lunedì 31 dicembre 2012

AUGURI DI BUON 2013 A TUTTI!!

Cari lettori e appassionati di diritto,
questo post è dedicato a tutti Voi che fin dal primo giorno avete sostenuto questa mia nuova attività su internet. L'avete diffusa, condivisa. 
Grazie a Voi sempre più persone mi scrivono per cercare un aiuto, un sostegno o anche solo per conoscere qualcosa in più di quel meraviglioso e vasto oceano che è il diritto italiano.
Vi ringrazio per tutto l'affetto che mi dimostrate, anche se molti di voi (ancora per poco, spero) non mi conoscono di persona.
Per tutto questo vi auguro TANTI TANTI AUGURI di un FELICE, FELICISSIMO 2013 ricco di soddisfazioni.
Cari amici, lasciamoci alle spalle (si spera) quest'anno di sofferenza, per molti non solo economica. Per ripartire. Tutti insieme, come persone, come Paese.

BUON ANNO!
Guglielmo Mossuto

domenica 30 dicembre 2012

CASA O FAMIGLIA? LA CORTE DIFENDE IL DIRITTO DI PROPRIETA'.



Con la pronuncia del 28 febbraio 2011 si può ritenere definitivamente superato quell’indirizzo giurisprudenziale consolidato che consentiva al genitore affidatario del figlio minore di continuare ad abitare nella casa dei suoceri.
In due casi la Suprema Corte ha mutato orientamento.
IL FATTO:
La problematica è la stessa in entrambe le fattispecie: il figlio si sposa ed i genitori concedono in comodato gratuito alla costituenda famiglia la loro casa di proprietà.
La famiglia si forma, arrivano i figli e con loro i problemi coniugali. Gli stessi che possono colpire qualunque coppia, ma che per alcune diventano insormontabili.
La situazione si rimedia con la separazione e con essa, nel 90% dei casi, i figli sono affidati alla madre e, per conseguenza, quella che è considerata la residenza familiare, ma che in realtà è la casa di proprietà dei suoceri, viene assegnata alla nuora.
Bel problema per quei mal capitati suoceri che oltre al matrimonio fallito del figlio, si vedono trafugare la loro bella casa di proprietà a tutto vantaggio della nuora.
Fino ad oggi, la Suprema Corte si era espressa nel senso di attribuire rilevanza primaria alle necessità insite dell’affidamento filiale quali la preservazione dell’habitat proprio dei figli e della famiglia di provenienza.
Il revirement segnato dalla sentenza n. 15986 del 7 luglio 2010, prima, e dalla sentenza n. 4917 del 28 febbraio 2011, dopo, sorprende perché fa prevalere il diritto di proprietà sui diritti dei bambini.
Nel primo caso la Corte ha usato come grimaldello la nozione di “comodato precario”di cui all’art. 1810 c.c.. Tale ipotesi si ha nel caso in cui la cosa è comodata senza determinazione di durata.
Il comodato precario è caratterizzato dalla circostanza che la determinazione del termine di efficacia del vincolo giuridico costituito tra le parti è rimesso alla sola volontà del comodante (proprietario). In altre parole, quest’ultimo può chiedere ed ottenere in qualunque momento la restituzione del bene.
Nel caso di specie, secondo la Corte, non assume rilievo alcuno la circostanza che l’immobile sia stato adibito ad uso familiare e sia stato assegnato all’affidataria dei figli.
Nel secondo e più recente caso, la suocera ha agito in giudizio nei confronti della nuora per richiedere la restituzione della propria casa poiché ne aveva un urgente bisogno stante che, la convivenza con l’altra figlia le era diventata insopportabile.
La Corte di Cassazione, a conferma delle precedenti pronunzie, ha stabilito definitivamente che il provvedimento di assegnazione adottato in sede di separazione non è per ciò solo opponibile al proprietario della casa coniugale allorché lo stesso ne chieda la restituzione nell’ipotesi di un sopraggiunto urgente e impreveduto bisogno ai sensi dell’art. 1809 c.c.. 
UNA RIFLESSIONE:
Seppure sia apprezzabile la tutela del diritto di proprietà riconosciuta con queste sentenze, tuttavia non posso appoggiare in toto la decisione della Suprema Corte.
Trovo che in questi particolari ragionamenti della Cassazione tuttavia è eccessivamente restrittiva la tutela che così si viene a garantire ai figli dei genitori che decidono di separarsi.

venerdì 28 dicembre 2012

LA CONCLAMATA "ATTITUDINE" AL DIVORZIO PUO' ANNULLARE IL MATRIMONIO.


Tra le recenti decisioni della Suprema Corte, quelle inerenti il diritto di famiglia e nella fattispecie il divorzio, sempre più spesso mi lasciano sgomento.
E' il caso di questa pronuncia della Cassazione Civile secondo la quale è nullo il matrimonio quando risulti che anche uno solo dei coniugi, già prima di sposarsi, aveva delle serie titubanze sull’indissolubilità del matrimonio e di tali convinzioni non abbia fatto menzione all’altro coniuge.
La Cassazione  ha infatti riconosciuto efficacia, anche all’interno dello Stato italiano, alla pronuncia della Sacra Rota (il cosiddetto tribunale ecclesiastico) che abbia acclarato la mancanza di serietà del fatidico “si” e, conseguentemente, abbia dichiarato nullo il matrimonio.
Insomma, la propensione al divorzio di uno dei due nubendi costituisce una scappatoia per far dichiarare nullo, non solo per la Chiesa, ma anche per l’ordinamento italiano, il “sacro vincolo del matrimonio”.
Secondo la Suprema Corte, affinché la nullità del matrimonio, dichiarata in sede religiosa, abbia efficacia anche in sede civile , è sufficiente che la sentenza del tribunale ecclesiastico sia fondata su testimonianze degli amici della coppia, dalle quali si evinca il proposito di uno dei coniugi di divorziare.
Bisogna dunque dare prova che il proprio partner, quando ha contratto matrimonio, non considerava l’unione come indissolubile e che tale convinzione non fosse stata da questi manifestata all’esterno. In questo caso, il “si” risulterebbe infatti condizionato e non sincero.
Ottenuta la pronuncia di nullità del matrimonio dal tribunale ecclesiastico, affinché tale sentenza esplichi i propri effetti anche nello Stato italiano, è necessario avviare presso la Corte d’Appello un procedimento detto “giudizio di delibazione”.
La sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, resa esecutiva nello Stato italiano tramite delibazione, consentirà di unirsi in nuove nozze con rito religioso cattolico .

Questa pronuncia conferma l’orientamento adottato già in passato dalla Corte. Infatti, con una sentenza del 2000, la Cassazione ha accolto il ricorso di un uomo che, solo dopo aver contratto matrimonio, aveva scoperto nella moglie l’intenzione di non osservare il dovere di fedeltà per tutta la vita.
Tuttavia il dubbio amletico resta: perchè sposarsi con l'intenzione di divorziare?
Guglielmo Mossuto

giovedì 27 dicembre 2012

RICONOSCIMENTO DI MATERNITA' E DI PATERNITA'



A seguito di una precisa richiesta di una mia lettrice,ecco alcune utilissime nozioni sulla filiazione e sul riconoscimenti dei figli.
Il nostro sistema giuridico distingue due diversi rapporti di filiazione: la FILIAZIONE LEGITTIMA e la FILIAZIONE NATURALE.
Quando nasce un bambino i cui genitori sono uniti fra loro da un matrimonio valido, egli acquisisce lo stato di FIGLIO LEGITTIMO automaticamente con la denuncia di nascita che può essere resa indifferentemente dalla mamma o dal papà.
Quando invece il bambino nasce da genitori non sposati fra di loro acquista lo stato di FIGLIO NATURALE.
Ciò avviene tramite l'atto di riconoscimento o la dichiarazione giudiziale del Tribunale (sentenza di un giudice).
E' importante precisare che il genitore che riconosce il figlio deve aver compiuto il sedicesimo anno di età (se è minore di 16 anni non può assumere i diritti e doveri connessi alla genitorialità e il figlio è affidato temporaneamente ad altre persone).
Il figlio naturale può essere riconosciuto da uno solo o da entrambi i genitori congiuntamente al momento della nascita.
Se ad effettuare il riconoscimento è un solo genitore (generalmente la madre), al figlio verrà attribuito il suo cognome.
Se invece il riconoscimento viene effettuato da entrambi i genitori congiuntamente al momento della nascita, il cognome attribuito sarà quello del padre.
Nel caso in cui il bambino, alla nascita, sia stato riconosciuto da un solo genitore, sarà sempre possibile, nel futuro, il riconoscimento da parte dell'altro con apposita dichiarazione posteriore alla nascita davanti all'ufficiale dello stato civile, al Giudice Tutelare o ad un Notaio. (Atto Pubblico o Testamento).
Se il figlio viene riconosciuto prima dalla madre e solo successivamente dal padre, acquisisce alla denuncia di nascita il cognome materno. Il seguente atto di riconoscimento paterno è determinante ai fini dell'attribuzione del cognome ma lo è altrettanto l'età del figlio:
- se il figlio è minorenne il cognome viene deciso dal Tribunale per i minorenni competente per territorio;
- se il figlio è maggiorenne può scegliere se assumere il cognome del padre in aggiunta a quello della madre, assumere il cognome paterno in sostituzione di quello della madre o mantenere quello della madre.
Se il figlio riconosciuto ha compiuto il sedicesimo anno di età deve dare il suo assenso al riconoscimento.
Se il figlio riconosciuto ha meno di 16 anni il genitore che per primo lo ha riconosciuto deve esprimere il suo consenso al riconoscimento successivo.

Altra situazione particolare è quella in cui si procede al riconoscimento di un figlio nascituro che viene utilizzata nel caso i genitori, al momento della dichiarazione di nascita non possano essere entrambi presenti, oppure nel caso di professioni pericolose. In questa eventualità, può essere effettuato il riconoscimento del bambino prima della nascita da parte della madre o di entrambi i genitori.

Esiste inoltre la possibilità che un bambino non venga riconosciuto dai genitori. In questo caso la dichiarazione di nascita verrà resa da chi ha assistito al parto e il cognome viene attribuito dall'ufficiale dello stato civile che deve seguire le indicazioni e i limiti indicati dall'ordinamento vigente.

La legittimazione, invece, attribuisce al figlio nato fuori del matrimonio (figlio naturale) la qualità di figlio legittimo.
Ciò avviene generalmente in seguito al matrimonio dei genitori naturali che hanno riconosciuto o riconoscono il figlio naturale.
E' importante inoltre precisare che in seguito all'entrata in vigore della leggesul diritto di famiglia del 1975 i figli naturali sono stati equiparati ai figli legittimi salvo per alcuni diritti successori.
Il disegno di legge in materia di filiazione, approvato dal Consiglio dei Ministri il 29 ottobre 2010, prevede che in futuro non ci siano più differenze fra figli naturali e legittimi.  Unico status giuridico, uguali diritti in materia di successione e di parentela, rivisti i diritti e i doveri nel rapporto tra genitori e figli: queste le più importanti novità introdotte dal provvedimento che ora dovrà essere esaminato dal Parlamento. I punti più rilevanti:
- si sposta l’attenzione dal concetto di “potestà dei genitori” al più generale concetto delle relazioni che intercorrono tra genitori e figli;
- accanto ai doveri dei genitori,  mantenimento, educazione e istruzione (già previsti dalla Costituzione), viene introdotto il diritto del figlio ad essere assistito moralmente, oltre che a crescere con la propria famiglia, ad avere rapporti con i parenti e ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano;
- s'introduce il principio generale della unicità dello stato giuridico di figlio, per effetto del quale le disposizioni in tema di filiazione si applicano a tutti i figli, senza distinzioni, salvi i casi in cui vi siano ragioni per distinguere i figli nati nel matrimonio da quelli nati fuori dal matrimonio (le definizioni di “figli nati nel matrimonio” e “figli nati fuori dal matrimonio”, sostituiscono quelle precedenti di “figli legittimi” e “figli naturali”, adeguando, in tal modo, il codice civile, alla formula lessicale adottata dall’articolo 30 della Costituzione);
- adeguamento della disciplina sulle successioni e sulle donazioni, al fine dell'eliminazione di ogni discriminazione tra figli;
- introduzione della nozione di abbandono, avendo riguardo alla mancanza di assistenza da parte dei genitori e della famiglia che abbia comportato un’irreparabile compromissione nella crescita del minore, fermo restando che non potranno costituire un ostacolo al diritto del minore a vivere nella propria famiglia, le condizioni di indigenza dei genitori;
- viene affermato il principio che il figlio riconosciuto è parente dei parenti del suo genitore;
- si prevede, ai fini del riconoscimento, un abbassamento da 16 a 14 anni, dell’età richiesta per esprimere il consenso.
Approfitto del post per ricordarvi che sono sempre disponibile a rispondere a qualsiasi domanda vogliate pormi e a qualsiasi approfondimento sul tema.
Guglielmo Mossuto

venerdì 21 dicembre 2012

STOP AGLI AUTOVELOX AUTOMATICI NEI CENTRI URBANI!



Ecco una interessante novità che di certo farà piacere a tutti gli automobilisti.
A seguito di un parere del Ministero dei Trasporti si è finalmente giunti ad una soluzione sul noto problema dei 'velox' cittadini:
Non si possono installare postazioni di autovelox automatiche (ossia senza la presenza di agenti) dopo i segnali di inizio del “centro abitato”, neanche se si tratta di comuni con meno di diecimila residenti.
Essi possono tuttavia essere installati prima di tali segnali, a congrua distanza da essi.
 Diverse sono poi le modalità a seconda del tipo di strada che si sta percorrendo e le limitazioni sono ulteriori:

1- Strade extraurbane nei centri abitati
Le strade extraurbane (per esempio, una strada statale) che attraversano un centro abitato perdono la caratteristica di strada extraurbana e, pertanto, su di esse non si possono più installare autovelox senza il presidio di un agente.
2- Strade a rapido scorrimento
Fanno eccezione a questa regola le strade extraurbane, che attraversano i centri abitati, a condizione che non siano dotate di intersezioni a raso, incroci e accessi privati e senza pedoni in circolazione. In tale ultimo caso, tali strade rimarrebbero strade extraurbane e su di esse sarebbe comunque concesso l’utilizzo di autovelox senza la presenza di operatori di polizia (previa autorizzazione del Prefetto).
Infine, resta invece invariata l apossibilità di utilizzo dei cosìddetti Autovelox presidiati, che  restano (senza ombra di dubbio) i più difficili da evitare e sopratutto da contestare.
In questi casi infatti non ci sono invece limiti all’utilizzo di autovelox, anche all’interno del centro abitato, se presidiati da almeno un organo di polizia stradale.

Guglielmo Mossuto.

FIGLI NATURALI E FIGLI LEGITTIMI: TUTTI UGUALI (E L' ERA ORA)!



Finalmente un passo in avanti verso L'Europa!
l'Italia, dopo tanti anni, è in grado di scrollarsi di dosso una normativa vecchia e impolverata che, in contrasto con l'attualità europea e mondiale, continuava a differenziare i figli nati fuori dal matrimonio da quelli nati all'interno dell'unione. 
Dal 27 novembre scorso è stato approvato alla Camera, in via definitiva, il progetto di legge riguardante la parificazione dei figli naturali ed operante un significativo spostamento di competenze verso il Tribunale ordinario per tutti quei procedimenti relativi all'affidamento dei minori (ex artt. 317 bis e 316), a scapito delle competenze del Tribunale per i minorenni (tassativamente indicate).
Ecco il nuovo art. 315 c.c. "Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico".

Sicuramente, oggi, l'Italia è un po' più vicina agli standard delineati dalle linee guida della Comunità Europea in tema di giustizia minorile ma la strada, non ci si illuda, rimane in salita.
Guglielmo Mossuto

giovedì 13 dicembre 2012

MANTENIMENTO DEI FIGLI: SPESE ORDINARIE E STRAORDINARIE




Come già capitato altre volte, tento di avvicinarmi ai tanti lettori che mi scrivono per dare, a chi ne abbia bisogno, importanti delucidazioni e chiarimenti in una materia così complessa come il diritto di famiglia. 

Questa volta mi sono soffermato sulla differenza che intercorre tra spese ordinarie e spese straordinarie che i il Giudice, in sede di separazione o divorzio è solito attribuire all'uno o ad entrambi i coniugi.
Infatti, accade spessissimo che con la sentenza di separazione o di divorzio, il giudice imponga al coniuge non collocatario dei figli di contribuire al loro mantenimento corrispondendo, oltre all’assegno mensile, il 50% delle spese straordinarie mediche, sportive, scolastiche e di svago.
E' chiaro che i problemi nascono quando si deve stabilire quali siano le “spese straordinarie” e quali invece rientrino nella “quotidiana gestione” della prole.
Non poche volte capita infatti che il genitore convivente anticipi le spese extra e poi, dopo averne chiesto la restituzione della metà all’ex, quest’ultimo si rifiuti di corrispondere la sua parte.
La Cassazione, nel tentativo di chiarire questo aspetto, ha definito le spese straordinarie quelle che conseguono a eventi eccezionali della vita dei figli, con particolare riferimento alla loro salute  (Cass. sent. n. 7672 del 19.07.1999).; oppure le spese che servono per soddisfare le esigente saltuarie e imprevedibili (Cass. sent. n. 6201 del 13.03.2009).; o, in ultimo, quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, esulano dall’ordinario regime di vita dei figli, considerato anche il contesto socio-economico in cui sono inseriti (Cass. sent. n. 9372 del 08.06.2012)
Sono pertanto considerate spese ordinarie – e quindi rientranti già nell’assegno mensile erogato per il mantenimento – quelle che riguardino esigenze attuali e prevedibili dei figli, anche se parametrate nell’arco di un anno: tanto per fare qualche esempio, l’acquisto di libri scolastici e del materiale di cancelleria, dei quaderni, dell’abbigliamento per fare sport a scuola e della quota di iscrizione alle gite scolastiche, essendo obbligatorio, e non straordinario, che i figli frequentino la scuola.
Sono invece spese straordinarie quelle relative a esigenze saltuarie e imprevedibili dei figli, che non rientrano nelle loro consuetudini di vita. Proprio perché imprevedibili, il giudice non le può prevedere in anticipo già nella sentenza di separazione o divorzio. Per esempio, sono da considerare “extra” le spese mediche per interventi chirurgici o per fisioterapia, per gli occhiali da vista, per lezioni private.
- Non è considerata straordinaria la spesa legata alla assistenza di un figlio disabile in quanto volte a soddisfare bisogni ordinari, anche se specifici e individualizzati, di quel figlio (Cass. sent. n. 18618/2011).
Interessante è poi la regolamentazione delle spese per quanto riguarda le spese della baby sitter.
Tali spese si considerano ordinarie (e rientrano già nella previsione dell’assegno mensile) se ad essa il genitore affidatario fa abitualmente ricorso a causa dei propri impegni di lavoro; si considerano invece straordinarie se la baby sitter è stata utilizzata per una imprevedibile necessità del genitore di recarsi di un luogo distante da casa, per prestare – per esempio – assistenza a un parente ammalato o per partecipare a un matrimonio di un congiunto .
Quanto alle spese universitarie, la Cassazione ha ritenuto che esse giustifichino la richiesta al giudice di un aumento dell’assegno di mantenimento, in quanto sono spese destinate a durare nel tempo e non sono né saltuarie, né imprevedibili .

Se l’iscrizione a una scuola privata è stata decisa solo dal coniuge presso cui vive il figlio, senza il parere dell’altro genitore, quest’ultimo non è tenuto a contribuire alla spesa per la retta: ciò perché l’indirizzo scolastico deve essere deciso di comune accordo da entrambi i genitori (anche per via del fatto che oggi la regola è quella dell’affidamento condiviso).
 Se così non fosse, l’apporto di uno dei due coniugi si ridurrebbe a una mera erogazione di denaro.
Di seguito, per rendere ancor più chiaro il discorso, elenco una serie di altre ipotesi specifiche.
Sono infatti considerate spese straordinarie:
- le spese per far conseguire al figlio la patente di guida e per pagare eventuali sanzioni amministrative (Trib. Ragusa sent. n. 243/2011);
- le spese di soggiorno in uno Stato estero per la frequenza di corsi di lingua inglese, per le esigenze di apprendimento di uno studente universitario iscritto alla facoltà di lingue, intenzionato a intraprendere la professione di interprete ;
- le spese per l’acquisto di un motorino e del computer (considerati beni ormai necessari per garantire l’emancipazione dei figli e il loro arricchimento culturale) (Trib. Perugia, sent. n. 967/2011);
- l’acquisto di un apparecchio ortodontico che ha costo pari a più assegni di mantenimento. La spesa, tuttavia, perché possa essere rimborsata, deve essere concordata da entrambi i genitori, in quanto non si tratta di una spesa sanitaria urgente, bensì programmabile ;
- le spese per il ricevimento e il servizio fotografico in occasione di comunione e cresima ;
- le spese sanitarie per visite specialistiche.

Di contro, sono considerate spese ordinarie:
- le spese per i medicinali come antibiotici, antipiretici, sciroppi e altri medicinali da banco necessari per fronteggiare situazioni che rientrano nella normale gestione di vita quotidiana di un minore e che sono di uso frequentissimo (C. App. Catania, sent. 29.05.2008);
- le spese sanitarie per visite di controllo rutinarie;
- le spese sanitarie che derivano da ordinarie patologie dalla rapida evoluzione benigna.

Guglielmo Mossuto



AFFIDO CONDIVISO: LE SPESE DEI FIGLI NON SONO DOVUTE SE DECIDE TUTTO L'EX-MOGLIE.



Finalmente buone notizie per i papà!!
La Suprema Corte di Cassazione, riguardo all’educazione dei figli nel regime di affido condiviso, ha recentemente preso una decisione che interesserà di certo tutti quei papà che, a causa di una separazione burrascosa, non riescono a vivere una tranquilla vita familiare coi propri figli.
Nella maggior parte dei casi, (e nonostante vi sia un affido condiviso), questi padri sono spesso costretti a chinare il capo innanzi alle decisioni prese dalla ex moglie.
La prima sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10174 del 20 giugno 2012, ribadisce la parità genitoriale nel regime dell’affido condiviso e, allo stesso tempo, pone un freno alle decisioni unilaterali (spesso soltanto dispetti tra ex) stabilendo che l’ex marito non è tenuto a pagare le spese se la madre sceglie da sola la scuola dei figli.
La decisione della Corte mira chiaramente a ripristinare quegli equilibri familiari, scombussolati dalla rottura del matrimonio, favorendo di fatto il coinvolgimento di tutta la famiglia quantomeno nelle scelte importanti (per non dire fondamentali) che, in un modo o nell'altro,  segneranno il futuro dei figli.
Nel caso di specie, vi era una sentenza di divorzio in cui il giudice, nella ripartizione delle spese per le figlie minori, aveva deciso che il padre doveva farsene carico versando un assegno di mantenimento e provvedere alle spese relative all’abbigliamento, l’istruzione, le cure mediche, senza che fosse previsto a tal fine, alcun previo accordo tra i genitori.
La madre aveva iscritto la figlia minore ad un istituto scolastico privato senza coinvolgere nella decisione l’ex marito al quale peró chiedeva poi il rimborso delle spese sostenute.
A questo punto, il marito si rifiutava di pagare le somme richieste dalla donna in quanto lamentava di non esser stato consultato prima dell’iscrizione della figlia al suddetto Istituto privato.
Veniva pertanto emesso nei confronti dell’uomo un decreto ingiuntivo per il rimborso delle citate spese ma subito dopo lo stesso veniva revocato dal Tribunale nel procedimento monitorio, che riconosceva soltanto una parte delle spese pretese dalla moglie.
La sentenza veniva comunque impugnata dall’uomo prima in Appello, conclusosi con un parziale accoglimento delle richieste formulate e poi anche in Cassazione dove il ricorrente contestava le modalità di adempimento del contributo richiesto, in quanto si trattava del rimborso costituente il risultato di una decisione alla quale egli non era stato posto in grado di partecipare, non essendo stato previamente consultato.
In Appello non era stato considerato che l’affidamento congiunto implica un’attiva collaborazione da parte di entrambi i coniugi nella educazione dei minori assumendo cosí gli stessi poteri e responsabilità.
Questa costante e preventiva consultazione tra genitori garantisce la piena partecipazione alla vita del minore soprattutto nelle scelte riguardanti l’educazione e la crescita dei figli.
La Corte di legittimità ha ricordato che il principio voluto dal Legislatore con l’affido condiviso é quello di responsabilizzare entrambi i genitori nella cura, educazione ed istruzione dei figli e, pertanto, sulla base di ció ha accolto il ricorso presentato dell’uomo cassando la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’Appello per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Bel colpo!!
Guglielmo Mossuto.

lunedì 10 dicembre 2012

ABITI TROPPO SUCCINTI IN PUBBLICO: E' REATO!

Mi rivolgo a tutte le lettrici del mio blog: ATTENTE a come vi vestirete quest'estate.
A tale proposito infatti la terza sezione della Cassazione Penale, ha confermato la condanna al pagamento di un' ammenda di 600 Euro inflitta ad una straniera per avere indossato, in luoghi aperti al pubblico, abiti troppo succinti.
La donna, era stata sorpresa in abiti eccessivamente ridotti, da un poliziotto abbigliata "in modo tale da far vedere le parti intime del corpo, in particolare seno e fondoschiena".
Orbene tali atti "in sè stessi o a causa delle circostanze, rivestono un significato contrario alla pubblica decenza, assunti in luogo pubblico, esposto, o aperto al pubblico".
A detta degli Ermellini, poichè sussista il reato, "non rileva che detti atti siano percepiti da terzi essendo sufficiente la mera possibilità della percezione di essi, in quanto proprio l'art.726 cp tutela i criteri di convivenza che, se non osservati e rispettati provocano disgusto e disapprovazione".
E' pertanto giusto, secondo la Cassazione, punire questo atto "vista la gravità della condotta, l'insensibilità della prevenuta offesa arrecata alla collettività, comprovante il completo disinteresse" della donna " alle interferenze negative che il suo comportamento avrebbe potuto determinare al comune vivere civile, tenuto anche conto dei "precedenti penali"dell'imputata.
Astenendomi da ogni commento al riguardo, consapevole che con ogni probabilità le opinioni maschili saranno differenti dalle femminili, attendo le vostre riflessioni.
Guglielmo Mossuto


venerdì 7 dicembre 2012

#AVVOCATOMOSSUTOVITAINDIRETTA ENNESIMA TRUFFA: LO SCANDALO DELLE CASE POPOLARI!

Ancora uno scandalo.
Stavolta non si scherza, si parla di case.
Di case popolari, quelle che il Comune affitta (o dovrebbe affittare) a chi ha meno possibilità economiche.
Ecco che cosa succede a Firenze. Ennesima vergognosa vicenda, ennesima Truffa.
Sono intervenuto personalmente alla puntata della Vita in diretta in qualità di difensore di questa donna, e finalmente, per la prima volta abbiamo 'strillato' all'Italia intera lo SCANDALO delle CASE POPOLARI!
Guglielmo Mossuto.

martedì 4 dicembre 2012

FRAMMENTI DI 'RICERCANDO IL CUORE'. DI GUGLIELMO MOSSUTO.

Cari assidui lettori e lettrici di questo mio spazio in rete,
l'interesse che mostrate per le tematiche affrontate quotidianamente è di giorno in giorno sempre più nitido e lo dimostrate con le condivisioni, i commenti e le mail che ogni giorno ricevo  e alle quali piacevolmente rispondo.
A questo scopo, e per renderVi sempre più partecipi,  ho deciso di inserire in questo post uno dei racconti più significativi del mio libro 'Ricercando il Cuore' pubblicato nel 2010, e il cui ricavato (sempre bene ricordarlo) viene interamente devoluto al Meyer di Firenze per il finanziamento della ricerca.
Il racconto di ciò che è accaduto ad Aldo (chiaro nome di fantasia), purtroppo si è realmente verificato.
E Vi prego di credere, cari amici,  che è solo una delle tante storie, al limite dell'inverosimile, cui ho assistito nella mia carriera.

MOGLIE E BUOI.....


Aldo ha aperto da qualche anno un bel negozio di alimentari in Versilia.
Tre sporti su una strada centrale, mette in mostra prodotti di pregio, una buona bottiglieria e una gastronomia preparata con cura, ricca e variata.
Di mezza età, una cinquantina d’anni ben portati, Aldo muove la sua corporatura massiccia con l’agilità di gesti ormai collaudati a servire veloce più gente possibile, tagliando, incartando, pesando, un occhio al cliente per carpirne l’approvazione e uno alle tacche della bilancia.
Ha da molto tempo investito tutto se stesso in quell’esercizio, come se la sua vita non fosse stata distratta da altro, diremmo culturalmente e da un punto di vista esistenziale, ben affiatato con le sue bottiglie e le sue scatole ma forse un po’ rozzo e poco elastico per tutti gli altri aspetti che l’esperienza ti può presentare.
Da un po’ di tempo la sua attenzione è attratta da una nuova cliente, una extracomunitaria che chiede quasi sempre focaccia e affettato, uno spuntino per poi riprendere le lunghe camminate sulla spiaggia a proporre vestitini estivi e parei, di ogni colore e tessuto.
Una di quelle belle donne fiere del loro portamento, eleganti in indumenti dai colori accesi e dalle fantasie etniche, pettinate con treccine allineate e ravvivate da perline di pasta di vetro, con una cura maniacale, forse  in ricordo di antichi riti tribali in mezzo alle radure in terra battuta di un villaggio africano.
Con la cesta sulla testa in equilibrio sembrava slanciare ancora di più la sua figura con un ornamento supplementare, puntellando con le mani sui fianchi un’andatura lenta e costante, in mezzo ai lettini un po’ blasfemi delle turiste rimbambite dal sole.
L’estroversione di Aldo, collaudata da migliaia di approcci con clienti di tutti i tipi e di tutte le età, fa breccia nell’attenzione della donna e- piano piano - produce una conoscenza che esce dal bancone del negozio e si approfondisce, dopo che la serranda è abbassata per il riposo a lavoro finito.
La donna ha una figlia che fa venire in Italia, nel 1998, a 7 anni, di nome Sally (così le cronache riportano) dopo che si è celebrato il matrimonio con Aldo nel 1996.
Lui non ha resistito: tutti quegli anni in piedi dietro il bancone, in quell’ambiente a servizio degli altri, gli appaiono come asfittici, negatori di un respiro più largo e denso di promesse.

Quegli occhi neri di un nero pieno di mistero, da interrogare all’infinito, quel colore blu di una pelle serica e quasi lucente, quel portamento regale, come di una esotica principessa, quell’accento inaudito, una cantilena dolcissima con cadenze francesi, gli spalancano un orizzonte vasto,  finalmente dischiuso verso promesse senza confine, così esclusive e lontane dai tic e dalle piccinerie delle massaie e delle petulanti e vuote signore piccolo borghesi.
Si sposano e nel 1997 nasce la piccola Luisa.
Ma poi.. pensava Aldo, moglie e buoi dei paesi tuoi…
Certo lui non era uno stinco di santo. Quella sua vita di cinquantenne così angusta e in certo modo chiusa, gli avevano provocato un vizio radicale di incompatibilità di fronte ad ogni novità reale che comportasse un cedimento alle sue ormai cristallizzate abitudini.
Un modo di dialogare completamente divergente, tale che provocava in lui rabbie tremende, più per la frustrazione di non trovare un metodo di ragionamento che sulle concrete diversità di opinione sui fatti in se stessi.
Una rigidità reciproca li faceva sbattere l’uno contro l’ altra in toni anche violenti, tali che, nel 2001, la coppia si separa.
Due anni dopo Aldo paga i suoi eccessi in una separazione giudiziaria  in cui subisce una condanna per maltrattamenti a un anno con la condizionale e al pagamento di 5000 euro di multa.
Ma nel 2006, il fulmine scoccato da un dio malvagio condanna Aldo per aver fatto una scelta così irragionevole, lontana dalla sua piccola logica di bottegaio un po’ gretto, poco allenato ai giochi troppo complessi e di difficile interpretazione per la sua arida sensibilità.
Evidentemente sull’abbrivio della causa precedente, come una rappresaglia, come il morso di una belva selvaggia disturbata nella quiete del suo mondo esclusivo, ecco la denuncia contro Aldo per molestie sessuali a Sally, la figlia adottiva.
Siamo nel 2006 e Aldo resta in carcere 3 mesi. Ma soprattutto, assiste pressoché impotente al lento sgretolarsi di tutta la sua vita.
-Sono stato arrestato e ristretto a Sollicciano in una cella con sei persone, due albanesi, un rumeno, un marocchino, un cinese e un italiano.
Dopo 4 giorni mi portano dal GIP: per la prima volta ho avuto le manette, la cosa più umiliante per un uomo di oltre sessant’anni
Non mi hanno fatto cambiare i vestiti per un mese e mezzo.
Il 24 dicembre, la vigilia di Natale, mi trasferiscono in una comunità.
Mille volte meglio il carcere.
Sono stato lì fino a metà marzo e in prossimità del processo mi hanno concesso gli arresti domiciliari a casa di mio fratello.
I carabinieri si presentavano per i controlli due o tre volte al giorno, come in comunità
Questo ha provocato la rottura dei rapporti con mio fratello e la sua famiglia che non vedeva bene un galeotto in casa.
Ho chiesto all’avvocato e ai carabinieri di riportarmi in carcere ma mi dicevano che non era possibile.
Il 10 aprile mi arriva la revoca degli arresti ma devo stare lontano da casa, dal paese della moglie, così ho dovuto affittare una camera e ricomprare tutto.
Affitto, vettovaglie, vestiti, ho speso più di 25.000 euro.
Dopo due anni la mia casa, rimasta chiusa, era in uno stato pietoso: luce, gas e acqua tagliate perché non avevo pagato le bollette, la caldaia in tilt, l’umidità aveva fatto marcire i mobili.
Dodicimila euro per risistemarla.
Il processo intanto era stato rinviato.
Quante cose ci sarebbero da dire sui magistrati e la loro lentezza…
I rinvii si sono succeduti fino all’ottobre del 2008.
Guardando all’indietro, nel 2006 avevo una causa pendente con un muratore per lavori fatti all’immobile e contavo di saldarlo con i soldi messi da parte per evitare il pignoramento, ma quei soldi sono andati tutti agli avvocati, data l’importanza della causa.
Oggi ho una casa che vale 300.000 euro che verrà battuta in asta a 100.000.
Finirò in mezzo a una strada dopo 40 anni di lavoro e di sacrifici.
Tra l’altro ho una pensione di 450 euro con la cessione del quinto per una altra bega legale.
Avevo una udienza davanti al Giudice di pace per una multa del 2003…  avevo la documentazione a mio discarico ma quel giorno ero in visita a Sollicciano…in permesso premio…..
Ho quindi avuto torto e mi hanno messo il fermo amministrativo sulla macchina, ormai ridotta a un rottame.
Ma anche per rottamare ci vogliono i quattrini.
Nel periodo in cui sono stato in carcere, in comunità e in allontanamento da casa credo siano arrivate altre pretese che non ho potuto verificare, tra l’altro una cartella  delle tasse che non so nemmeno di cosa si tratti.
Il periodo in comunità è stato il più nero: da mangiare solo roba scaduta o quasi per esserlo...
Io ero uno degli addetti che tutte le mattine andava in giro per mercati a raccattare frutta e verdura che gli ambulanti scartavano.
Da quel momento anche i denti hanno cominciato a cadermi per la piorrea.
La notte mi sveglio con la sensazione delle manette ai polsi, mi sento peggio di un barbone, una larva, piango di continuo e per nulla.
Ho la paranoia dei postini, mi sembrano messaggeri di sventura, cado in preda all’ansia.. tra poco finirò in un manicomio.
Parlo da solo come uno matto squilibrato e ho problemi di cuore.. meglio schiattare subito.
Tutto questo è cominciato da quando mia moglie ha chiesto il divorzio.
Tutto questo, nonostante che il 23 ottobre 2008 Aldo sia stato assolto perché il fatto non sussiste………………
La giustizia deve fare ancora il suo pachidermico corso perché la moglie si è appellata.
Le molestie non sono state provate perché le testimonianze di madre e figlia non sono apparse convincenti e, invece, contradditorie sotto molti aspetti.
In Italia su 100 accusati di molestie sessuali, si verificano solo 13 condanne. Delle 87 vite comunque distrutte da una carcerazione ingiusta ( il risarcimento chiesto da Aldo sembra acqua per occhi ), dalle conseguenze economiche e sociali, nessuno ne parla.
Senza parlare degli aspetti psicologici, drammatici , che nemmeno un’altra vita vissuta potrebbe mai neppure in parte sanare.
Tratto da 'Ricercando il cuore' di Guglielmo Mossuto.



lunedì 3 dicembre 2012

CAMBIA IDEA IL GIORNO DELLE NOZZE:NEGATI I DANNI MORALI.





Notevole interesse, visto la peculiarità dell’argomento, ha suscitato una recente sentenza della Corte di Cassazione, che prendendo spunto da un caso pratico, ha negato in maniera definitiva il risarcimento dei danni per la sposa “abbandonata” poche ore prima di salire sull’altare per il tanto desiderato “sì”.
Con la decisione in esame (sentenza n.9/2012), la Suprema Corte ha dato ragione a un promesso sposo siciliano che due giorni prima del fatidico sì aveva mandato a monte il matrimonio senza nessuna valida ragione.
Contro tale autonoma decisione la ex aveva intrapreso le vie legali.
 In primo grado, la fidanzata aveva ottenuto la condanna dell'uomo al risarcimento di ben 9.875 euro per le spese vive sborsate per il matrimonio e per le "obbligazioni contratte" quali la fornitura delle bomboniere e la prenotazione del ristorante. Non solo. Non contenta di ciò, la stessa ricorreva in appello per vedersi risarcire i danni patiti, ottenendo in quella sede in aggiunta, anche 30mila euro come risarcimento dei danni non patrimoniali ossia per i danni morali subiti in seguito alla brusca rottura.
Contro questa decisione, il promesso sposo ricorreva in Cassazione.
In queste sede l’uomo chiedeva di non pagare i danni morali in quanto «il recesso dalla promessa di matrimonio non costituisce illecito dal momento che la legge vuol salvaguardare fino all’ultimo la piena libertà delle parti di decidere se contrarre o non contrarre matrimonio».
I supremi giudici gli hanno risposto che "il recesso senza giustificato motivo configura pur sempre il venir meno alla parola data e dall’affidamento creato nell’altra persona, quindi la violazione di regole di correttezza e di autoresponsabilità che non si possono considerare lecite o giuridicamente irrilevanti". Tuttavia aggiungono che "la legge vuol salvaguardare fino all’ultimo la piena ed assoluta libertà di contrarre o non contrarre le nozze", pertanto anche il recesso senza giustificato motivo "non va incontro alla piena responsabilità risarcitoria" poichè "un tale regime potrebbe tradursi in una forma di indiretta pressione di chi ha promesso di sposare qualcun altro, nel senso dell’accettazione di un legame non voluto".
In altre parole dunque, secondo la Cassazione, la rottura della promessa di matrimonio, pur essendo un illecito civile, non comporta la risarcibilità dei danni normalmente previsti nel caso dei consueti illeciti (siano essi contrattuali o extracontrattuali).
Il/la promesso/a spos/a che infrangerà la promessa data sarà comunque tenuto a risarcire, tanto per fare un esempio, le spese di prenotazione del locale per il ricevimento, l’acquisto dell’abito nuziale, l’eventuale mobilia o l’affitto dell’abitazione.
Di fatti, qualora si dovesse imporre al nubendo il risarcimento anche dei danni morali (così come riconosciuti in appello), nel caso di diniego al matrimonio, si finirebbe per imporgli una indiretta pressione. Invece, secondo la Cassazione, ogni soggetto deve mantenere la piena libertà di scelta sino al fatidico “si”.
Sul punto lo stesso codice civile stabilisce che la promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo.
Tale carattere non vincolante della promessa è volto infatti a tutelare la piena libertà matrimoniale.
Gli unici effetti della rottura della promessa sono il risarcimento del danno nei limiti appena descritti.
Nel caso di ripensamento del nubendo all’ultimo istante é tuttavia necessario ricorrere in Tribunale entro e non oltre un anno dalla rottura del legame, pena l’improcedibilità dell’azione.
Tale mancanza di tempestività negherebbe la possibilità di riottenere, almeno in parte, i soldi spesi per organizzare l’evento, eventualità questa, che resterebbe solo una magra consolazione. 
Guglielmo Mossuto





venerdì 30 novembre 2012

NUOVA CONVIVENZA DELL'EX-MOGLIE? RESTA L'OBBLIGO DEL MANTENIMENTO.




Con questo post del venerdì, su esplicita richiesta di un lettore, risponderò ad una frequentissima domanda che non solo lui, ma molti di voi (obbligati al mantenimento della ex - moglie) mi fanno: 
" Ma se la mia ex c'ha un altro, devo pagare lo stesso?".
La risposta è (purtroppo) SI. Ovviamente valutando la situazione caso per caso. 
A tal proposito infatti, una dura spallata è stata inferta quest'anno dalla Suprema Corte con la recentissima sentenza n. 3923 dello scorso 12 marzo 2012..
Di fatto, per gli obbligati al versamento di quest’assegno, i problemi sembrano non avere mai fine.
L’interpretazione nomofilattica degli Ermellini è stata senza dubbio sfavorevole per coloro che speravano di liberarsi di questa “tassa” una volta che la ex fosse andata a convivere con un'altra persona.
Ebbene così non è stato.
La legge prevede che il coniuge più abbiente debba versare il mantenimento, garantendo lo stesso tenore di vita che c’era in costanza di matrimonio, nei confronti dell’ex marito/moglie, finché il beneficiario non passi a nuove nozze o finché non conviva con altra persona more uxorio.
Nel caso di specie, tuttavia, i Giudici di legittimità invece di favorire l’obbligato, restringendo i principi di derogabilità dell’assegno, li hanno ampliati.
La persona avente diritto al mantenimento, casalinga, era andata a convivere con altra persona. Il giudice di merito aveva ritenuto questo sufficiente a far cessare l’obbligo dell’ex marito nei suoi confronti.
La Cassazione è stata però di diverso avviso, capovolgendo la decisione di merito.
A detta della Corte, per escludere il trattamento economico, è necessario che il nuovo mènage abbia le caratteristiche di un modello di vita caratterizzato dalla continuità e dalla consistenza degli apporti economici da parte del nuovo convivente del richiedente il trattamento economico.
Infatti, osservano gli ermellini, uniformandosi a propri precedenti, “la convivenza del coniuge con altre persone avente carattere occasionale o temporaneo, non incide di per sé direttamente ed in astratto sull’assegno di mantenimento”.
In tal caso la corresponsione dell’assegno sarebbe dunque giustificata solo laddove il primo instauri una convivenza con altra persona che assuma i caratteri di stabilità e continuità, trasformandosi in una vera e propria famiglia di fatto».
La nozione di famiglia di fatto, significativa a questo proposito, richiede che i conviventi elaborino un progetto e un modello di vita in comune analogo a quello che, di regola, caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio, con un arricchimento e un potenziamento reciproco della personalità dei conviventi, la trasmissione di valori educativi ai figli e cose simili.
Nel caso di specie era stata troppo frettolosa la valutazione dei giudici di merito che, nell’escludere l’obbligo del mantenimento, non avevano vagliato la ricorrenza di tutti questi altri presupposti.
Orbene, alla luce di ciò e di questo orientamento oramai consolidato della Suprema Corte, appare forse necessario svolgere alcune considerazioni.
Con il numero di separazioni, e di divorzi che costellano il panorama giudiziario italiano, da ormai troppo tempo assistiamo a sperequazioni economiche perpetrate dai coniugi separandi volte solo ed esclusivamente ad un arricchimento economico senza freno alcuno e volta ad impoverire l’obbligato più del necessario .
Su questo punto, con le recenti pronunce, di certo il percorso intrapreso dalla Cassazione non è condivisibile, tutt’altro.
Servirebbe, a mio parere, un disincentivo a questa “corsa al mantenimento”, che con ogni probabilità potrebbe avere come primo e fondamentale passo  l’individuazione di criteri assai più restrittivi per l’erogazione dell’assegno di mantenimento, che dovrebbe partire in primo luogo dai giudici.
 In tal modo (forse) si finirebbe di contrarre matrimoni che poi puntualmente finiscono in separazioni scontate e caratterizzate dal solo e unico obbiettivo di lasciare “in mutande” l’obbligato, per buona pace degli avvocati.
In tal modo infatti  si finisce per distruggere non solo economicamente un famiglia, ma si mettono sotto le scarpe anche tutti in principi etici e morali che dovrebbero caratterizzare il vincolo matrimoniale.
Guglielmo Mossuto.

lunedì 26 novembre 2012

DIMISSIONI DEL LAVORATORE: ANNULLAMENTO. QUANDO è POSSIBILE?


- Sperando di fare una cosa gradita a molti dei miei lettori, vorrei svolgere alcune precisazioni in riferimento ad una materia assai delicata come il diritto del lavoro, con specifico riferimento alle dimissioni presentate in situazioni particolari, ad es. perchè indotte dal datore di lavoro
Molti di Voi, in diverse sedi, mi hanno fatto la medesima domanda: "Avvocato, ho già consegnato le mie dimissioni, è possibile annullarle??".
A tal proposito, e per rispondere a tanti di voi che si sono trovati in questa spiacevole situazione, è necessario fare una preliminare precisazione.
Le dimissioni del lavoratore, rassegnate sotto minaccia di licenziamento per giusta causa, sono suscettibili di essere annullate per violenza morale solo qualora venga accertata l’inesistenza del diritto del datore di lavoro di procedere al licenziamento.
Tale inesistenza sussiste quando non vi sia alcun inadempimento da poter addebitare al dipendente, 'costretto alle dimissioni'.
Differentemente se le dimissioni sono state rese in stato di incapacità di intendere e di volere, non è necessario accertare che il lavoratore fosse, al momento dell’atto, in uno stato di totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che tali facoltà siano risultate diminuite in modo tale da impedire la formazione di una volontà cosciente.
Quando ci troviamo poi di fronte alla permanenza del rapporto di lavoro ripristinato in conseguenza della nullità delle dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di interdizione di cui all’art. 1 della L. n. 7 del 1963 (dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino a un anno dopo la celebrazione dello stesso), ripristinabile a semplice richiesta della lavoratrice, si esclude l’indennizzabilità dello stato di disoccupazionealla stregua della normativa previdenziale.
Ancora, nel caso di annullamento per violenza morale delle dimissioni o della risoluzione consensuale, sono dovute al dipendente le retribuzioni maturate medio tempore, essendo irrilevante che il dipendente stesso abbia o no formalmente offerto la propria prestazione al datore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione di fatto del rapporto.
Invece, in caso di licenziamento seguito da dimissioni del lavoratore, in mancanza della prova rigorosa dell’esistenza di una più ampia e complessa fattispecie di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro – il cui onere incombe sulla parte che intenda avvalersene – le dimissioni sono nulle in quanto atto mancante di causa essendo il rapporto di lavoro già estinto a seguito del recesso intimato dal datore di lavoro.
Da queste poche nozioni, appare evidente la complessità della materia. 
Vi invito dunque, qualora avesse intenzione di presentare le dimissioni, o quand'anche foste stati obbligati a presentarle, di rivolgervi sempre al Vostro legale di fiducia il quale potrà indicarvi le modalità d'azione più consone per preservare i vostri diritti di lavoratore.
Disponibile per qualsiasi chiarimento in merito, vi saluto.
Guglielmo Mossuto

CRISI DI COPPIA? LA CASSAZIONE GIUSTIFICA IL TRADIMENTO.




Care donne, fate attenzione!
Ancora una volta la Corte di Cassazione fa notizia.
in tema di separazione ed addebitabilità della stessa, riesce (in certi casi) addirittura a “giustificare” il tradimento.
Anche se vostro marito ha un'amante, evitate accuratamente di esprimere qualsiasi giudizio o future intenzioni sulla volontà di avere dei figli.
Tali  confessioni perché potrebbero pesantemente ritorcersi contro di voi.
Questo è ciò che emerge dalla lunga causa di separazione iniziata nel 2007 in quel di Bolzano.
Una donna si era separata dal marito, reo di avere una relazione con la sua segretaria (che cliché!) da anni. Il Tribunale in primo grado, (a mio avviso giustamente), aveva dato ragione alla donna, nonostante il marito avesse giustificato il suo tradimento con l'espressa volontà della moglie di non desiderare figli dal compagno. 
Ebbene, offeso nell'orgoglio l’ex-marito aveva pensato bene di trovare conforto in lidi più accoglienti.
Diversamente, la giustificazione proposta dal fedifrago è stata accolta dalla Corte d'Appello alla quale l'uomo si era rivolto.
La Corte territoriale, ribaltava di fatto la sentenza del Tribunale, dichiarando che al coniuge fedifrago non potesse addebitarsi la colpa della separazione giacché la relazione extra-coniugale era iniziata dopo che lui aveva inavvertitamente sentito una conversazione tra la ex e sua sorella, in cui la prima rimarcava di non voler figli da suo marito.
La signora però non ha voluto arrendersi e si è rivolta alla Suprema Corte.
In questa sede la donna ha giocato i suoi due assi al fine di ottenere l’addebito della separazione all'ex marito: 1) la relazione era iniziata ben un anno prima della telefonata con la sorella in seguito “inavvertitamente ascoltata dal marito”; 2) la telefonata era un semplice (e umano) sfogo della donna, "un momento d'ira", dopo aver scoperto il tradimento del marito.
La Prima Sezione civile della Cassazione, investita della questione, non ha sentito ragioni e , con la sentenza n. 16089/2012, ha respinto il ricorso. Avere un'amante, secondo la Cassazione è assolutamente giustificato in un caso come questo, in cui la moglie dichiara espressamente di non volere figli dal proprio marito.
Gli ermellini hanno precisato che "l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, da solo, non può giustificare addebito qualora una tale condotta sia successiva al verificarsi di una accertata situazione di intollerabilità della convivenza ".
Aggiungendo anche che la telefonata in sé per sé "non dimostra tanto una chiara e consolidata volontà di non avere figli" ma bensì e' la spia di "una situazione di crisi" e fa emergere "la preoccupazione di lei per la fine del rapporto".
Superfluo soffermarsi sulla gravità di queste considerazioni.
Appare ormai evidente che, specialmente in tema di  diritto di famiglia, ciò che dovrebbe essere l’eccezione, diventa la  normalità.
In tal modo non si fa altro che svalutare sempre più l’istituto, costituzionalmente garantito, della famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”.
Non resta dunque che mettervi in guardia: care lettrici, pesate bene le parole durante le vostre conversazioni telefoniche se non volete finire cornute e mazziate! 
Che ne pensate?