martedì 15 gennaio 2013

LA SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI: GIUDIZIALE E CONSENSUALE.




LA SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI.


La separazione personale dei coniugi è un istituto fondamentale di quella branca del diritto civile, definito Diritto di famiglia.
Tale istituto è  regolamentato dalle norme del codice civile (artt. 150 e ss.), dal codice di procedura civile e da una serie di norme speciali.
La disciplina che il codice stesso dedica a questo istituto distingue due differenti modalità di procedimento detti rispettivamente “separazione giudiziale” e “separazione consensuale”.

La separazione consensuale è quel procedimento attraverso il quale sia il marito che la moglie, di comune accordo, decidono di separarsi, individuandone condizioni comuni.
Ne consegue che presupposto essenziale per addivenire ad una separazione di questo tipo è l’accordo di entrambi i coniugi sulle diverse questioni che possono o hanno già investito, l’unione matrimoniale (diritti patrimoniali, mantenimento del coniuge debole, diritti di visita e mantenimento della prole, assegnazione della casa coniugale).
In tal caso l’autorità giudiziaria avrà una funzione dichiarativa.
 Il tribunale infatti, mediante decreto di omologa, renderà efficace la separazione secondo le condizioni determinate dalle parti.
Il procedimento ha inizio con il deposito del ricorso, che può essere sottoscritto da uno o da entrambi i coniugi.
 In tale ricorso possono essere contenute le modalità (eventualmente già concordate) della separazione, ma in ogni caso è sufficiente l’asserzione che si è raggiunto l’accordo che si ritiene possa essere raggiunto.
All’udienza fissata dinanzi al Presidente del Tribunale competente, i coniugi dovranno comparire personalmente affinché possa essere esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione da parte del Presidente del Tribunale. Quest’ultimo potrà altresì adottare eventuali provvedimenti che riterrà necessari ed urgenti.
Qualora tali accordi vengano ritenuti equi e non pregiudizievoli per i figli, la separazione verrà omologata di diritto.

Differentemente dalla separazione consensuale, la separazione  giudiziale presuppone il mancato accordo tra i due coniugi.
In tal caso il ricorso viene presentato da uno solo dei coniugi e notificato, a seguito di fissazione dell’udienza dinanzi al Tribunale, all’altro coniuge.
La prima udienza del giudizio prevede anche in questo caso la comparizione personale dei coniugi, e avviene con le medesime modalità della separazione consensuale. In tale fase infatti il Presidente del Tribunale può. Adottare i provvedimenti che ritenga necessari ed urgenti a tutela dell’altro coniuge e della prole ( ad es. Assegno di mantenimento ed assegnazione della casa coniugale).
Successivamente, il procedimento si svolge secondo le forme del procedimento ordinario al termine del quale verrà emessa una sentenza di separazione.

Ad ogni modo, le condizioni stabilite in sede di separazione giudiziale,  possono essere modificate o revocate allorquando intervengano fatti nuovi che mutano la situazione di uno dei due coniugi o del rapporto con i figli. Tale modifica potrà essere fatta con un ulteriore procedimento di “modificazione delle condizioni di separazione”.

A seguito della riforma del diritto di famiglia del 1975 è stata eliminata la necessità di una colpa come fondamento del diritto di chiedere la separazione, che oggi, prescinde dal consenso dell’altro coniuge e può essere fatto dipendere da “fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole”. mentre l’eventuale violazione dei dovrei che derivano dal matrimonio può costituire – solo a richiesta di uno dei coniugi- fondamento di una pronuncia accessoria, con la quale viene dichiarato a quale dei coniugi è addebitabile la separazione.
Una delle caratteristiche che differenzia la separazione dal divorzio è il carattere transitorio della separazione stessa. In ogni momento (durante la vigenza della separazione) la coppia può ricongiungersi senza alcuna formalità, facendo cessare gli effetti prodotti dalla separazione.
Tuttavia, per rendere formale la riconciliazione, i coniugi possono anche recarsi presso il Comune di appartenenza e rilasciare un’apposita dichiarazione.
Per rendere formale la riconciliazione, oltre all'accertamento giudiziario, è possibile per i coniugi recarsi al Comune di appartenenza per rilasciare un'apposita dichiarazione

Guglielmo Mossuto

martedì 8 gennaio 2013

DIFFAMAZIONE SUL WEB: RISARCIMENTO SALATO PER UN INSULTO IN RETE.


Cari lettori, è proprio il caso di dirlo: State attenti a ciò che pubblicate in rete.
Anche un semplice video su internet a seguito di un litigio con la ragazza, può costarvi molto ma molto caro!
Un banale insulto alla ex, se reso pubblico sul web, potrebbe creare non pochi problemi.

Il Fatto:

In provincia di Venezia un ragazzo diciottenne è stato condannato dal Tribunale del capoluogo veneto a seguito di alcuni insulti pubblicati sul noto sito internet.
Nella fattispecie l'imputato aveva pubblicato un filmato nel quale, levandosi qualche "sassolino dalla scarpa", si scagliava contro alcune persone e suoi conoscenti. Tra questi vi era la ex-fidanzata.
Quest'ultima, venuta a conoscenza della pubblicazione, dopo aver visto il materiale, denunciava l'ex per reato di diffamazione.

LA DECISIONE:

Ebbene, il Tribunale di Venezia dopo aver accertato la responsabilità esclusiva del ragazzo, rilevabile non solo dal nickname ma anche dalle sue reiterate dichiarazioni di essere l'autore del video, condannava il giovane.
Non solo.
Oltre alla sanzione penale il giovane veniva condannato al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, di una somma di ben 10.000 € oltre alla multa e alle spese legali.

Guglielmo Mossuto.

mercoledì 2 gennaio 2013

IL CONGEDO DI MATERNITA' ED IL CONGEDO PARENTALE.


Come argomento mi piacerebbe affrontare il tema del 'congedo parentale'.
Purtroppo non tutti sanno che oltre al noto congedo maternità, anche il padre ha diritto ad un congedo, seppur a condizioni economiche assai differenti, mentre altre possibilità sono previste ben al di là dei canonici 5 mesi.
Ma andiamo con ordine.
In primo luogo è necessario soffermarci sul contesto legislativo che regola la materia.
Il d.lg 151 del 2001 (modificato di recente tramite il d.lgs 18 luglio 2011, n. 119) ha di fatto  riscritto e riorganizzato il tema dei congedi parentali, anche a seguito di numerose sentenze in materia.
I “vecchi” concetti di astensione obbligatoria e astensione facoltativa non esistono più.
Tali elementi sono stati modificati e rinominati, rispettivamente, come congedi di maternità e paternità e i congedi parentali.
Ma vediamoli nel dettaglio.

Il congedo di maternità

Per la donna lavoratrice in attesa di un figlio la legge prevede la sospensione del rapporto di lavoro per una durata complessiva di cinque mesi.
Tale coteggio comprende i due mesi precedenti la data presunta del parto, e i tre mesi successivi.
Questa ripartizione può tuttavia essere modicifata.
Difatti, laddove la madre ne faccia richiesta, è stata riconosciuta la possibilità di astenersi dal lavoro a partire da un mese dalla data presunta del parto, e fino a quattro mesi successivi al giorno del parto.
Questa soluzione (c.d. flessibilità del congedo di maternità) tuttavia è attuabile solo a seguito della presentazione, entro il compimento del settimo mese di gravidanza, di una certificazione medica dalla quale risulti che la prosecuzione del rapporto lavorativo non possa essere nociva per la donna o per il bambino.
Il questo periodo, la madre ha diritto a percepire un’indennità giornaliera corrisposta dall’INPS pari all’80% della retribuzione percepita nell’ultimo mese di lavoro.
In ogni caso, molti contratti collettivi prevedono un’ulteriore integrazione fino al 100%.
Pare opportuno sottolineare un aspetto: ai sensi del dettato dell’art. 56 del T.U., la madre ha diritto non solo alla conservazione del proprio posto di lavoro, ma anche, al termine del periodo di congedo, di rientrare nella stessa unità produttiva ove operava all’inizio del periodo della gravidanza.

Il congedo di paternità

Il congedo di paternità spetta ai lavoratori solamente in tre casi predeterminati dalla legge:
  • morte o grave infermità della madre;
  • abbandono del figlio da parte della madre;
  • affidamento esclusivo del figlio al padre.
In questi casi, anche al padre spetta una indennità economica pari all’80% della retribuzione giornaliera percepita nell’ultimo mese di lavoro, ma il periodo coperto da questa indennità sarà solamente quello dopo il parto (i tre mesi di cui si è parlato prima), o per la parte residua che sarebbe spettata alla madre lavoratrice, a far data dalla morte o grave infermità della madre, dall’abbandono o affidamento esclusivo del figlio al padre.

Congedi parentali

A differenza che per i precedenti, per tali congedi è necessario fare un discorso a parte.
I congedi parentali sostituiscono la vecchia “astensione facoltativa” e sono stati introdotti nell’ottica di incentivare la cura dei figli da parte di entrambi i genitori.
Il periodo di assenza facoltativa che spetta ai genitori è di complessivi dieci mesi, continuativo o frazionato in più periodi, riconosciuto per ciascun figlio nato o adottato/affidato e spetta fino al compimento degli 8 anni di età del bambino, oppure entro gli 8 anni dall’ingresso in famiglia del minore adottato/affidato.
La particolarità sta in questo: la madre può usufruire al massimo di un congedo di sei mesi, mentre il padre potrà richiedere al massimo il congedo per un periodo di sette mesi, a prescindere dall’attività lavorativa (o casalinga) della madre.
Inoltre, qualora il padre scelga di usufruire del congedo parentale per almeno 3 mesi, il periodo complessivo dei congedi per i genitori è elevato a 11 mesi.
Le lavoratrici autonome hanno il diritto a fruire del congedo parentale per un massimo di tre mesi entro l’anno di vita del bambino.
La pecca, se così possiamo chiamarla, di questa riformta struttura dei congedi parentale, resta senza dubbio il trattamento economico.
In questi casi infatti la retribuzione riconosciuta al lavoratore-genitore è molto modesta.
Viene riconosciuto un misero 30% del totale, calcolato sull'ultima mensilità.
Non solo. Vi sono, inoltre, degli ulteriori limiti: per i periodi di congedo compresi tra i tre e gli otto anni di vita del bambino, l’indennità verrà corrisposta solamente a condizione che il reddito individuale del genitore interessato sia inferiore a 2,5 volte il trattamento minimo di pensione INPS.
Data l'importanza del tema e l'ampissima casisitica che si può verificare in casi di maternità, non esitate a contattarmi per qualsiasi dubbio o informazione.
Auguri ancora.
Guglielmo Mossuto.