giovedì 31 ottobre 2013

IO E IL MIO AMICO CANE!

Molti sono gli obblighi che i proprietari, ma anche dog sitter, o parenti o amici che si sono semplicemente offerti di occuparsi del nostro “amico a 4 zampe” devono rispettare. La responsabilità è stata infatti estesa a chiunque abbia, al momento dell’aggressione, l’affidamento del cane.

Nello specifico, in città deve sempre essere utilizzato il GUINZAGLIO che non deve avere una lunghezza superiore a un metro e mezzo; in alcuni luoghi, soprattutto in quelli più affollati come ad esempio negli autobus è altresì obbligatoria la MUSERUOLA.

Per quanto attiene all’odioso problema delle feci dell’animale, l’ordinanza del Ministero della Salute prevede l’obbligo per chiunque conduca il cane in ambito urbano di avere con sé strumenti idonei e di provvedere alla raccolta delle stesse.

Il proprietario del cane è sempre responsabile e risponde del comportamento del proprio animale sia in sede civile che in sede penale. Tale responsabilità è, tuttavia, limitata se non addirittura inesistente per quanto riguarda i proprietari di cani guida per persone non vedenti e di cani guardia e cani pastore addestrati per la conduzione delle greggi.

Vengono inoltre vietati gli incroci e l’addestramento di razze canine volti al solo sviluppo dell’aggressività, nonchè la vendita di cani sottoposti a  interventi  chirurgici non conformi alla Convenzione europea per la  protezione degli animali da compagnia. Tale Convenzione prevede infatti una certificazione di conformità rilasciata dal veterinario che ha eseguito un intervento chirurgico al fine di tracciare e assicurare ogni intervento eseguito sugli animali.

Viene, infine, previsto un espresso divieto di detenzione di cani cd. “aggressivi” per i delinquenti abituali nonché per i pregiudicati per delitto non colposo contro la persona o contro il  patrimonio, punibile con la reclusione superiore a due anni e comunque per tutti i minori di 18 anni.

Avv. Guglielmo Mossuto


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STRISCE PEDONALI, tormento di ogni automobilista!



“Passo io, tanto sono sulle strisce!” una frase un po’ strafottente forse, ma comunque basata su solide fondamenta, al di là della perenne attenzione che comunque, pedoni, ciclisti, automobilisti e chiunque viaggi per le strade deve avere!

Gli incidenti sulle strisce pedonali sono sempre più frequenti e i pedoni hanno sempre ragione, o almeno nel 99% dei casi.
Quando ci troviamo sulla strada, due occhi non sono sufficienti, ne servirebbero almeno il doppio, se non il triplo…

In caso di incidente sulle strisce pedonali, infatti, la condotta del pedone contraria al codice della strada non è sufficiente a ridurre la responsabilità dell’automobilista o addirittura a esonerarlo. La condotta di colui che attraversa le strisce pedonali deve essere per il conducente imprevedibile e atipica, egli deve pertanto prevedere eventuali imprudenze del pedone.

La Cassazione, in una recente sentenza, ha confermato tale principio evidenziando che tra gli obblighi del guidatore rientra anche quello di prevedere eventuali violazioni da parte del pedone del codice della strada e, pertanto, alla luce di ciò, sarà responsabile l’automobilista anche nel caso di un pedone che attraversa dove le strisce pedonali non ci sono!

E’ difficile, dunque, se non impossibile, salvarsi da una condanna penale nel caso di incidente stradale che abbia coinvolto un pedone; ciò può avvenire solo dimostrando l’oggettiva impossibilità di seguire i movimenti del passante. L’automobilista, o il motociclista che sia, deve quindi prevedere ogni eventuale imprudenza del pedone. Due, quattro, sei…forse neanche cento occhi basterebbero!

Avv. Guglielmo Mossuto

lunedì 28 ottobre 2013

SOLLICCIANO, AL LIMITE DELLA DIGNITA’ E DELLA SICUREZZA!


                                                         CARCERE DI SOLLICCIANO




Molti sono stati negli ultimi mesi gli episodi di insofferenza  e protesta che si sono susseguiti tra i detenuti del carcere fiorentino di Sollicciano; la causa di ciò è senza dubbio la condizione disumana e degradante nella quale si trovano a vivere i detenuti.

DEGRADO IGIENICO - STRUTTURALE: infiltrazioni d’acqua, muffa sulle pareti di corridoi, celle e sale di attesa, vetri rotti e spazzatura accatastata. 

Le mura diventano come spugne, umide ed usurate si deteriorano, consentendo cosi all’acqua di filtrare all’interno arrivando persino a bagnare i materassi nei quali dormono i detenuti.

Nella cucina sono pochissimi i macchinari funzionanti, per non parlare del parco veicoli.
La stessa ASL di Firenze è intervenuta, al fine di verificare lo stato e l’igiene dell’ambiente.

Come se non bastasse, a quanto sopra elencato si aggiunge una vera e propria “emergenza piccioni” che affollano gronde, tettoie e finestre creando problemi, oltre che per la pulizia, anche per la salute, una salute troppe volte negata a causa dell’insufficienza delle visite mediche, eseguite con eccessiva superficialità.

SOVRAFFOLLAMENTO: le pesanti multe inflitte dall’Unione Europea all’Italia non sembrano aver sortito grandi effetti; restano infatti notevolmente alte le percentuali di sovraffollamento dei carceri italiani. Per quanto riguarda Sollicciano, siamo ben oltre il 100%!

Si tratta infatti di una struttura concepita per ospitare meno di 500 persone che oggi si trova ad accoglierne oltre 1000. 

E’ così che in una cella di circa 12 mq, toilette compresa, progettata per una sola persona, possiamo trovare anche 3 detenuti. In ogni sezione ci sono soltanto 5 docce, nelle quali manca l’acqua calda, ormai da mesi.

Sollicciano non è un carcere di massima sicurezza, ci troviamo infatti essenzialmente borseggiatori, tossicodipendenti o comunque imputati di reati minori.

Il 70% dei detenuti è costituito da extracomunitari mentre oltre il 30% è costituito da tossicodipendenti che non dovrebbero scontare la loro pena all’interno del carcere bensì in comunità, in luoghi in cui possano guarire dalle patologie dalle quali sono afflitti e riappropriarsi della loro vita.

MANCANZA DI ORGANICO: a fronte di un sovraffollamento delle celle, si presenta una decisa mancanza di personale. 

Soltanto 2/3 della dotazione operativa prevista è realmente effettiva. E questo, insieme alla diaria prevista, è uno dei motivi per i quali hanno subito una notevole riduzione le attività ludiche o lavorative dei detenuti, non essendo sufficiente il personale per garantire un’adeguata vigilanza. In tal modo, c’è chi trascorre all’interno della cella, nella quale a volte non trova neanche il posto per distendersi, fino a 20 ore su 24.

Ed è cosi che a luglio è iniziato lo “sciopero del vitto” dei detenuti contro il sovraffollamento, al quale si è poi affiancato quello del “sovravvitto” contro i prezzi imposti per i prodotti in vendita all’interno dell’istituto penitenziario.

Allo sciopero, un mese dopo si è aggiunto l’incendio di un materasso, che ha creato disagi e persino il ricovero di alcuni detenuti presso l’ospedale.

Le condizioni di vita superano qualunque livello di sopportabilità e superano di gran lunga quanto disciplinato dalla legge; un ambiente che, come sancito dall’art. 27 della Costituzione Italiana, dovrebbe rieducare il detenuto e favorirne il reinserimento nella società, diventa, purtroppo, un vero e proprio incubo e troppe volte, l’ultima dimora di alcuni di loro.

Una considerazione bisogna però farla: se l'Unione Europea, invece di multarci, si prendesse carico insieme a noi italiani di tutti questi stranieri che arrivano attraverso un piano di recupero concreto da suddividere tra tutti gli Stati membri, il problema verrebbe notevolmente ridimensionato e le penose condizioni delle nostre carceri migliorerebbero sensibilmente. 

Avv. Guglielmo Mossuto

giovedì 24 ottobre 2013

TUTTE LE TUTELE PREVISTE PER CHI NON E' IN CONDIZIONE DI CURARE DA SOLO I PROPRI INTERESSI!



Quando un soggetto maggiorenne presenta delle limitazioni della propria capacità fisica o psichica, l’ordinamento interviene prevedendo degli istituti quali l’amministrazione di sostegno, l’interdizione e l’inabilitazione.


Ai sensi dell’art. 2 del codice civile, infatti, con il compimento dei 18 anni di età si acquista la capacità di agire e cioè la capacità di compiere “tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa”.
atti che abbiano effetti giuridici.
Tuttavia, il soggetto in questione può non essere totalmente capace di porre in essere atti che provocano effetti sul piano giuridico, può non rendersi pienamente conto del valore degli atti che esegue; per questo motivo l’ordinamento ha predisposto 3 istituti a tutela di tale situazione.

L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO è un istituto introdotto recentemente per tutelare coloro i quali non siano in grado di provvedere, in tutto o in parte, ai propri interessi. La peculiarità di tale misura risiede nel fatto che la capacità di agire del soggetto viene limitata il meno possibile in quanto residuano ampi margini di autodeterminazione e di discrezione per il destinatario. La nomina dell’amministratore di sostegno viene disposta dal giudice tutelare attraverso un decreto che sarà immediatamente esecutivo e che andrà a definire quali saranno gli atti nei quali dovrà intervenire l’amministratore di sostegno e con quali modalità. Qualora l’amministrato ponga in essere atti posti in essere in violazione della legge o del decreto, questi saranno annullabili.

L’INABILITAZIONE e la CURATELA: i casi di inabilitazione sono tassativamente indicati e ricorrono in caso di infermità abituale di mente, abitualità a spendere in modo disordinato e smisurato in relazione alle proprie capacità economiche, abuso di alcool o di stupefacenti e sordomutismo o cecità dalla nascita o dalla prima infanzia. In tutti questi casi il soggetto inabilitato viene affiancato da un curatore il quale lo assiste e lo autorizza a compiere atti di straordinaria amministrazione; per quanto riguarda gli atti di ordinaria amministrazione, l’inabilitato resta libero di compierli autonomamente.

L’INTERDIZIONE è la misura più gravosa e più restrittiva della libertà del soggetto; applicata agli infermi totali di mente, il tutore dovrà compiere tutti gli atti giuridici in sostituzione dell’incapace.
Due sono i presupposti dell’interdizione:
-         vizio di mente abituale;
-         inettitudine a curare i propri interessi a causa proprio del vizio mentale.
Vi è anche un’ipotesi di interdizione legale che è prevista come pena accessoria per coloro i quali sono condannati all’ergastolo o alla reclusione per un periodo non inferiore a 5 anni.

L’interdetto è, pertanto, sottoposto alla stessa incapacità generale riconosciuta per i minori di 18 anni.
Il minore è di regola sottoposto alla POTESTÀ DEI GENITORI, potere-dovere irrinunciabile gravante su entrambi i genitori caratterizzato da una duplice natura:
-         personale: i genitori devono custodire, allevare, educare e istruire il minore;
-         patrimoniale: entrambi i genitori hanno la rappresentanza legale del minore, amministrano i suoi beni  e godono dell’usufrutto legale; tuttavia, per atti eccedenti l’ordinaria amministrazione necessitano della preventiva autorizzazione del giudice che si avrà solo in caso di evidente necessità o utilità per il minore.
Tuttavia, vi sono dei casi in cui questi vengono a mancare e si rende pertanto necessaria una qualche forma di tutela. Nel caso di scomparsa di entrambi i genitori ovvero di scomparsa di uno di essi e interdizione dell’altro, si apre il procedimento per la nomina di un tutore che provvederà sia all’amministrazione del patrimonio del minore sia alla sua cura personale.
Anche in questo caso, il legislatore ha previsto tre istituti al fine di sostenere il minore rimasto orfano o comunque privo, per qualsiasi altro motivo, di un soggetto capace di tutelare i suoi interessi:
1.       TUTELA:  il tutore viene nominato dal giudice tutelare nell’immediatezza dei fatti dai quali deriva la necessità dell’intervento; il tutore interviene sia sui rapporti patrimoniali sia su quelli personali, curando altresì l’educazione del minore. La scelta del tutore avviene sulla base dei criteri dettati dall’art. 348 c.c. e, pertanto, la tutela potrà essere:
-         volontaria, in caso di nomina da parte del genitore che per ultimo ha esercitato la potestà sul minore;
-         legittima, se la tutela è affidata a un parente prossimo o a un affine del minore;
-         dativa, se è affidata a soggetti scelti liberamente dal giudice tutelare;
-         assistenziale se è affidata a un ente di assistenza.
2.      CURATELA: il curatore integra la volontà dell’emancipato o dell’inabilitato
3.   AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: anche per i minorenni emancipati, tale forma di tutela segue la disciplina dettata per i soggetti maggiorenni essendo, anche in questo caso, l’istituto che concede la più ampia discrezionalità.

Tutta la materia è di competenza del giudice tutelare, dotato di poteri di vigilanza e di intervento, anche disponendo dell’ausilio degli organi di polizia.
E’ necessario, dunque, rivolgersi ad un legale oppure direttamente al Tribunale al fine di assicurare una cura adeguata della persona e degli interessi del soggetto interessato.

Avv. Guglielmo Mossuto



mercoledì 23 ottobre 2013

ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE: SI HA ANCHE NEL CASO IN CUI IL CONIUGE NON ASSISTA L'ALTRO DURANTE LA MALATTIA





"Nella buona e nella cattiva sorte..." è questa la formula con la quale moglie e marito si giurano amore eterno, ma non solo!

Il matrimonio infatti è a tutti gli effetti un contratto e come tale comporta diritti e doveri, tra i quali, non da ultimo, l'obbligo di assistere il coniuge e di non abbandonarlo, tanto nella quotidianità, ancor più in caso di malattia, sia fisica che psichica.

Qualora il coniuge non adempia a questo obbligo, si potrà richiedere, in sede di separazione, l'addebito a carico del coniuge "trascurante" proprio a causa dell'abbandono del coniuge "trascurato"durante la malattia.


E' stata la stessa Corte di Cassazione, pochi giorni fa, a sancire detto principio; il dovere di reciproco accudimento permane, in qualunque situazione o condizione fisica/psichica possa trovarsi durante il matrimonio l'altro coniuge.

Le stesse malattie psichiche che, troppo facilmente e frequentemente vengono addotte a giustificazione di un inadempimento degli obblighi matrimoniali, non esimono dal dovere di sostenersi reciprocamente e pertanto non possono essere portati a sostegno dell'intollerabilità della prosecuzione del matrimonio.
Anzi, è proprio in tali casi che l'accudimento dovrebbe essere ancora più amorevole e attento!

Avv. Guglielmo mossuto 






   

giovedì 17 ottobre 2013

I primi 3 passi da fare quando l'ex non paga!!!


Molte sono le tutele che la legge italiana prevede a favore del coniuge beneficiario dell'assegno di mantenimento.


1. innanzitutto è necessario avere un titolo idoneo! si tratta di un qualunque provvedimento emanato dal giudice che indichi la somma che uno dei due coniugi deve versare all'altro. è pertanto necessario rivolgersi ad un avvocato in quanto, qualora non esista il titolo, sarà necessario ricorrere al giudice al fine di ottenerlo!


2. il legale di fiducia sarà altresi necessario in quanto, prima di procedere per vie giudiziarie, è necessario, non indispensabile ma vivamente consigliato, inviare una diffida al genitore inadempiente, invitandolo ad adempiere entro un certo termine.

3. in caso di inadempimento, si procederà alla richiesta delle somme arretrate tramite le vie giudiziali e, in tale sede, oltre al pagamento degli arretrati, si potrà procedere alla richiesta anche dei mancati aggiornamenti ISTAT della somma. Ciò deve avvenire entro il termine di 5 anni; tuttavia, qualora vi sia stata una richiesta scritta, il termine di prescrizione si interrompe e inizia nuovamente a decorrere.

In caso di mancato pagamento del contributo al mantenimento, il coniuge può agire nei confronti dell'altro coniuge inadempiente sia in sede civile sia in quella penale.

CIVILE: Nel caso in cui il genitore obbligato risulti oggettivamente impossibilitato al pagamento, è riconosciuta all'altro coniuge la facoltà di richiedere il pagamento delle somme ai suoi parenti prossimi, come ad esempio i nonni.
Il coniuge potrà richiedere l'intervento del giudice che a sua volta potrà:
- modificare i provvedimenti
- disporre il risarcimento dei danni patiti dal minori o dall'altro genitore
- condannare il genitore inadempiente ad una sanzione amministrativa
- disporre il sequestro dei beni del coniuge inadempiente 
- ordinare a terzi che parte delle somme dovute al coniuge inadempiente siano versate direttamente all'altro coniuge (pignoramento presso terzi)
Inoltre, il coniuge, accertata l'esistenza di beni di proprietà dell'obbligato, potrà richiedere l'esecuzione forzata nei confronti del coniuge inadempiente al fine di ottenere il pignoramento di beni mobili, immobili o di somme di denaro.

PENALE: se il genitore inadempiente non paga non per motivi oggettivi ma semplicemnte perchè “non vuole” allora si potrà ricorrere in via penale contro lo stesso. Sempre di più sono i genitori che sporgono denuncia contro l’altro genitore per “violazione degli obblighi di assistenza familiare” reato proprio di chi, andando contro quelli che sono i principali doveri familiari, si è altresì sottratto agli obblighi di assistenza sorti al momento della nascita del figlio.
NB! Al fine di ottenere il risarcimento e, pertanto, tutto il mantenimento pregresso, è tuttavia necessario che il genitore che richiede il pagamento si costituisca parte civile altrimenti l’unico effetto della denuncia potrà essere, in caso di condanna, la detenzione fino ad un anno oppure l’irrogazione di una sanzione pecuniaria.
È bene pensarci bene, prima di sporgere denuncia perchè, essendo in gioco un interesse superiore del minore, questa non sarà ritirabile.
Molte sono dunque le strade da percorrere al fine di ottenere quanto spettante; alcune più ripide, altre meno; alcune più veloci, altre più lente...per questo è bene farsi consigliare da chi è del mestiere in modo tale da poter far valere il proprio diritto nella sede più adeguata e nel modo migliore!

Avv. Guglielmo Mossuto

sabato 12 ottobre 2013

Il pacchetto sicurezza ora è legge! FEMMINICIDIO, cosa succederà?



E' arrivato il via libera dal Senato e cosi il decreto sul femminicidio è diventato legge!!! Tuttavia, non poche sono state le polemiche che hanno accompagnata il percorso di questo provvedimento, dal momento che oltre a disposizioni riguardanti la violenza sulle donne, in un calderone in cui è stato gettato di tutto e di più, sono stati inseriti articoli sulla frode informatica, sui furti di rame, sulle province, sull'utilizzo dell'esercito a protezione dei cantieri della TAV.
L'obiettivo principale era quello di inasprire le pene e ciò è avvenuto mediante la previsione dell'arresto in flagranza obbligatorio per il reato di maltrattamenti in famiglia e stalking, l'allontanamento d'urgenza dalla casa familiare e il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima. Viene inoltre introdotto il braccialetto elettronico e la possibilità di predisporre intercettazioni telefoniche.
Rispetto al decreto legge, il nuovo testo prevede l’inasprimento delle pene quando la violenza è commessa contro una persona con cui si ha una relazione, e non soltanto se si convive o si ha un vincolo (recesso o meno) di matrimonio. Le aggravanti sono previste anche quando i maltrattamenti avvengono in presenza di minori e contro le donne incinte.

Sono previste inoltre azioni di prevenzione, educazione e formazione che vanno a costituire il cd. “piano antiviolenza“. Le donne vittime di stalking, maltrattamenti domestici e mutilazioni genitali potranno altresì usufruire del gratuito patrocinio al fine di consentire a tutte le vittime di poter ottenere giustizia per il danno subìto.

Se tra l'aggressore e la vittima intercorre o è intercorso un legame sentimentale, la pena sarà più pesante. E' prevista, infatti, una nuova aggravante che varrà sia per il maltrattamento in famiglia, sia per tutti gli altri reati di violenza fisica a danno di donne incinte o a danno o in presenza di minori. Diventa dunque rilevante la relazione tra l'aggressore e la vittima della violenza. 
La denuncia diventa irrevocabile! in parte è vero, in parte non lo è...La denuncia per stalking potrà essere revocata qualora riguardi atti non gravi, ma la remissione dovrà avvenire di fronte al giudice in sede processuale; se invece si è di fronte a gravi minacce ripetute allora si, la querela diventa irrevocabile!

Continuano a non essere ammesse segnalazioni anonime, tuttavia è garantita la massima segretezza circa l'identità di colui che effettua una segnalazione.

Avv. Guglielmo Mossuto

mercoledì 9 ottobre 2013

COME FARE PER CHIEDERE UN RISARCIMENTO DEL DANNO PER MALASANITA'



Cosa fare in caso di malasanità?
Chiedere un risarcimento per malasanità, per un errore di un medico oppure per una negligenza della struttura medica non è più certo una novità.
Se avessimo l’impressione di essere stati vittima di un caso di errore medico, di un caso di malasanità, la prima cosa da fare è senza dubbio valutare attentamente l’opportunità di dare avvio ad una richiesta di risarcimento.
Cosa importante da valutare è che vi sia un nesso di causa tra l’azione svolta dal medico e il danno subito.
Cosa fondamentale è raccogliere tutta la documentazione possibile (cartella clinica completa, esami, radiografie ) per dimostrare la fondatezza del danno.
Occorre interpellare un medico legale che effettuerà una perizia medico legale che attesterà il danno subito.
Se il medico evidenzierà il nesso causale si procederà con la richiesta di risarcimento.
Nel caso i danni fisici subiti siano da riferirsi ad una colpa  di medici professionisti privati, come ad esempio un dentista, un chirurgo privato, non essendo prevista una vera e propria cartella clinica, è necessario richiedere e conservare il preventivo e la fattura di quello che è stato eseguito, per avere almeno degli elementi che comprovino che una data cura sia stata eseguita presso quello studio.
Questa perizia medico legale altro non è che una relazione medica che certifichi in modo obiettivo la situazione clinica del paziente con l’individuazione del danno presunto (percentuale del danno).
In prima istanza si procederà a risolvere la questione in via extragiudiziale. Un’azione che prevede una “trattativa” diretta con l’assicurazione della struttura sanitaria che conduca ad un accordo per arrivare ad un giusto risarcimento senza andare per le vie legali. Se le vie stragiudiziali non avranno esito si inizierà una causa legale per il risarcimento del danno.
Cosa fondamentale se si rimane vittima di malasanità, di errore medico,  è di affidarsi  immediatamente ad un avvocato evitando nella maniera più assoluta il cosiddetto " fai da te "
Qual'è il danno che viene liquidato?
In primo luogo viene risarcito il danno biologico, vale a dire l'invalidità determinata dalla mancata guarigione, totale o parziale, o dal ritardato conseguimento della stessa o dal determinarsi di una vera e propria malattia insorta per via dell'errore medico.
Per quantificare dettagliatamente tale danno si fa riferimento a precise tabelle di liquidazione che mettono in relazione due parametri: la percentuale di invalidità riscontrata dal medico legale e l'età del danneggiato.
Inoltre è prevista la cosiddetta inabilità temporanea, cioè il pagamento di una diaria per ogni giorno di prognosi.
Molto frequentemente, nei casi più seri viene liquidato anche il danno morale e/o esistenziale.
Tutte le spese e tutti i costi sostenuti dal paziente danneggiato devono essere rimborsate.
Altra voce risarcibile è il danno patrimoniale, sia sotto il profilo del danno emergente (costi sostenuti per riparare al danno) che del lucro cessante (mancati guadagni determinati dalla prolungata malattia).
Infine è risarcibile anche il così detto danno da perdita di chance se il paziente dimostra che la diagnosi tempestiva e la giusta cura  avrebbe anche solo migliorato la prognosi (ad esempio in caso di ritardata diagnosi di un tumore il malato potrà ottenere il risarcimento del danno qualora dimostri che una diagnosi tempestiva avrebbe determinato un'aspettativa di vita più lunga per il paziente).
Cosa importante è che anche gli eredi possono far valere questo diritto e chiedere il risarcimento del danno.
Lo studio dell' Avvocato Mossuto opera e assiste i propri clienti in tutta Italia.
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martedì 8 ottobre 2013

DIFFERENZA FRA SEPARAZIONE E DIVORZIO: QUANDO L’EX LO E’ ANCHE PER LA LEGGE!




Con la sola separazione non si scioglie il vincolo matrimoniale. Infatti, dopo la sentenza di separazione si continua a parlare di coniugi, di marito e moglie, in quanto gli effetti del matrimonio sono soltanto sospesi fino all’eventuale riconciliazione o divorzio. Solo in seguito alla sentenza di divorzio pertanto si potrà correttamente parlare di “ex” poiché viene meno lo status di coniuge.

Per quanto riguarda la separazione, occorre innanzitutto distinguere la separazione di fatto dalla separazione legale; solo quest’ultima, infatti, che si concretizza mediante ricorso ad un giudice, produce gli effetti legali della separazione. La separazione di fatto non produce effetti; tuttavia, può rientrare tra i presupposti oggettivi necessari per procedere alla separazione legale.

La separazione legale può essere, a sua volta, consensuale o giudiziale.

Si parla di separazione consensuale nei casi in cui è presente il consenso espresso di entrambi i coniugi. Moglie e marito si accordano su tutte le possibili questioni connesse ad una separazione, come ad esempio la spartizione dei loro beni qualora vi sia comunione dei beni oppure sull'affidamento dei figli. 
L'accordo tra i due coniugi deve, tuttavia, essere sottoposto all'analisi del tribunale che ne valuta la corrispondenza alla legge e la presenza di disposizioni volte al totale rispetto dei diritti della prole.
Qualora il tribunale valuti favorevolmente l’accordo, emanerà decreto di omologazione della separazione; se invece la valutazione risulta sfavorevole, gli atti saranno trasmessi al giudice istruttore e la causa seguirà il corso ordinario della separazione giudiziale.

La separazione giudiziale sorge su istanza di parte, in seguito a violazione degli obblighi matrimoniali oppure a circostanze oggettive che rendono insostenibile la convivenza e la prosecuzione del rapporto.
In seguito alla separazione giudiziale vengono meno alcuni obblighi tipici del matrimonio in quanto i coniugi non avranno più l’obbligo di convivenza, di fedeltà nè di assistenza morale; tuttavia resistono gli obblighi di assistenza materiale, riguardanti il mantenimento e di partecipazione alla gestione della famiglia.

Con la sentenza di divorzio, invece, cessano definitivamente gli effetti del matrimonio, non sussistendo più in tal modo né l’obbligo di assistenza morale né quello di assistenza materiale, fatti salvi alcuni casi particolari in cui il giudice riconosce un assegno divorzile nei confronti di uno dei due coniugi.
Il ricorso per divorzio potrà essere presentato soltanto dopo 3 anni dalla data in cui i coniugi si sono presentati, in sede di separazione, di fronte al Presidente del Tribunale per il tentativo di riconciliazione in udienza presidenziale.
Solo in seguito a divorzio, i coniugi saranno liberi di contrarre nuovamente matrimonio civile.

SEPARAZIONE
DIVORZIO
MANTENIMENTO
Resta il dovere di assistenza materiale. Il coniuge che non ha adeguati redditi pertanto godrà di un assegno di mantenimento in quanto la legge mira a consentire alla parte economicamente più debole di conservare il tenore di vita di cui godeva prima della separazione.
Anche in caso di addebito della separazione, resterà comunque l’obbligo per il coniuge “più facoltoso” di versare, al coniuge che versa in stato di bisogno, gli alimenti, somma necessaria a soddisfare le esigenze primarie di vita.
N.B. i coniugi nei loro accordi possono liberamente rinunciare all’assegno di mantenimento!
MANTENIMENTO
Il giudice può prevedere il versamento di un assegno periodico, assegno divorzile, in favore del coniuge che non ha i mezzi e le possibilità per assicurarsi il proprio sostentamento.
Tale assegno non deve necessariamente essere mensile, può essere infatti anche liquidato in un’unica soluzione.
Tale assegno non dovrà più essere versato in caso di nuove nozze del divorziato; ciò avverrà automaticamente, senza alcuna autorizzazione del Tribunale.
EREDITA’

Al coniuge separato spetteranno pieni diritti successori, come se non vi fosse stata la separazione.
Tuttavia, in caso di separazione con addebito,al superstite spetterà un assegno vitalizio solo se già godeva degli alimenti e, dunque, se versava in uno stato di bisogno. Il valore dell’assegno non potrà pertanto essere superiore a quello degli alimenti versati dal coniuge quando era ancora in vita.
EREDITA’

Il coniuge superstite potrà avere diritto a un assegno periodico solo se versa in uno stato di bisogno e la sentenza di divorzio gli aveva riconosciuto il diritto a un assegno divorzile.

TFR: trattamento di fine rapporto

Il coniuge separato non ha alcun diritto sulla liquidazione dell’altro coniuge.
TFR: trattamento di fine rapporto

Il coniuge divorziato  potrà riceverne una percentuale al momento della cessazione del rapporto di lavoro dell’altro coniuge solo nel caso in cui non si sia risposato e sia titolare di assegno divorzile. La somma sarà equivalente al 40% dell’indennità totale rapportata agli anni in cui coincidevano il rapporto di lavoro e il matrimonio.
PENSIONE DI REVERSIBILITA’ (pensione percepita da un familiare alla morte del lavoratore assicurato o del pensionato)

Tale pensione spetterà sempre al coniuge separato, anche in caso di addebito qualora godesse degli alimenti.
PENSIONE DI REVERSIBILITA’ (pensione percepita da un familiare alla morte del lavoratore assicurato o del pensionato)

Il coniuge divorziato avrà diritto a percepirla qualora non si sia risposato e l’altro coniuge fosse lavoratore assicurato prima della pronuncia del divorzio.
Qualora il lavoratore assicurato si fosse risposato, una quota della reversibilità spetterà comunque all’ex coniuge, oltre che al coniuge superstite.

 Molte sono dunque le differenze tra questi due istituti presenti solo nell'ordinamento italiano. 
Consensuale o giudiziale che sia, è sempre necessario farsi assistere da un legale di fiducia, in quanto molti sono i diritti da far valere e i doveri da assolvere, dei quali, fin quando le cose vanno bene, non se ne conosce neppure l'esistenza!

Avv. Guglielmo Mossuto