La tanto
famigerata “spending review” di cui abbiamo sentito tanto parlare negli ultimi
mesi e di cui sentiremo ancora parlare, non sembra, per ora, aver portato a
grandi traguardi.
In seguito alla
caduta del Governo Monti e all’inizio della nuova legislatura con Letta, è
stato ampio il ricambio di parlamentari e questo ha vanificato la riduzione dei
vitalizi che era stata promessa ai cittadini e che, in parte, era stata
realizzata.
Da marzo 2013,
infatti, ben 237 onorevoli in più usufruiscono di contributi previdenziali e
questo ha portato ad un aumento della spesa pubblica per pensioni e vitalizi pari
a circa 7 milioni di euro, rispetto al 2012 ( +1,63% alla Camera dei Deputati e
+ 6,22% al Senato) L’aria nuova fa sempre bene certo, ma in questo caso non
sembra sia cosi per le casse dello Stato; 113 senatori e 124 deputati che alla
fine del mandato avevano tutti i requisiti per poter beneficiare dell’assegno previdenziale.
Certo, i tagli
alla spesa pubblica ci sono stati ma, come affermato da Stefano Dambruoso,
questore della Camera dei Deputati, “purtroppo i tre quarti del bilancio se ne
vanno in stipendi e pensioni di deputati e senatori. Si tratta di
diritti acquisiti difficilmente tagliabili in modo drastico senza intaccarli”.
Ma vediamo un attimo come viene
calcolata la famigerata pensione dei parlamentari; dal 2012 è stato abbandonato
il metodo retributivo a favore di quello contributivo, in tal modo la pensione
viene corrisposta in proporzione ai contributi versati, come avviene per
tutti gli altri lavoratori, tuttavia, le nuove regole si applicano con il
sistema pro-rata, e quindi valgono
solo per quella parte di pensione maturata dopo il 31 dicembre 2011.
La pensione per i parlamentari
scatta solo dopo un’intera legislatura (5 anni) e non più dopo soltanto mezza
legislatura, come avveniva in precedenza. A tale criterio di aggiunge quello
riguardante l’età: il parlamentare deve infatti aver raggiunto i 65 anni di
età, soglia anagrafica che scendeva progressivamente fino a 60 anni per ogni anno di permanenza in Parlamento superiore al quinto.
Ancora, Dambruoso spiega come
le cose potranno andare a migliorare, ma ci vorrà tempo, molto tempo, in quanto
sarà necessario attendere la scomparsa dei vecchi benefici, ormai maturati:
“I tre quarti del bilancio di Montecitorio è fatto di
pensioni e stipendi di deputati e dipendenti, spesa non facilmente aggredibile
perché riguarda diritti acquisiti. La quota di spesa su cui si può facilmente
intervenire è pari a meno di 300 milioni su un totale di circa un miliardo. Nel
medio-lungo periodo comunque e nuove regole produrranno maggiori benefici
perché spariranno progressivamente i trattamenti privilegiati pre-riforma e i
nuovi parlamentari che andranno in pensione avranno trattamenti di minor favore.”
Quindi all’italiano medio non
resta altro che attendere, con speranza certo, quella speranza che l’ha aiutato
ad andare avanti in questi anni, con €. 900,00 mensili di stipendio o di
pensione, con affitti da pagare e cibo da comprare…aspettare, perché la
situazione migliorerà (per forza!)…e non pensare che c’è chi ha il coraggio di
dire che “sono tempi duri!” riscuotendo ogni mese €.3000/€.4000.
Avv. Guglielmo Mossuto
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