Come argomento mi piacerebbe affrontare il tema del 'congedo parentale'.
Purtroppo non tutti sanno che oltre al noto congedo maternità, anche il padre ha diritto ad un congedo, seppur a condizioni economiche assai differenti, mentre altre possibilità sono previste ben al di là dei canonici 5 mesi.
Ma andiamo con ordine.
In primo luogo è necessario soffermarci sul contesto legislativo che regola la materia.
Il d.lg 151 del 2001
(modificato di recente tramite il d.lgs 18 luglio 2011, n. 119) ha di fatto
riscritto e riorganizzato il tema dei congedi parentali, anche a seguito
di numerose sentenze in materia.
I
“vecchi” concetti di astensione obbligatoria e astensione facoltativa non esistono più.
Tali elementi sono stati modificati e rinominati, rispettivamente, come congedi di maternità e paternità e i congedi parentali.
Ma vediamoli nel dettaglio.
Il congedo di maternità
Per la donna lavoratrice in attesa di un figlio la legge prevede la
sospensione del rapporto di lavoro per una durata complessiva di cinque
mesi.
Tale coteggio comprende i due mesi precedenti la data presunta del
parto, e i tre mesi successivi.
Questa ripartizione può tuttavia essere modicifata.
Difatti, laddove la madre ne faccia richiesta, è stata riconosciuta la
possibilità di astenersi dal lavoro a partire da un mese dalla data
presunta del parto, e fino a quattro mesi successivi al giorno del
parto.
Questa soluzione (c.d. flessibilità del congedo di maternità)
tuttavia è attuabile solo a seguito della presentazione, entro il compimento
del settimo mese di gravidanza, di una certificazione medica dalla quale
risulti che la prosecuzione del rapporto lavorativo non possa essere
nociva per la donna o per il bambino.
Il questo periodo, la madre ha diritto a percepire un’indennità
giornaliera corrisposta dall’INPS pari all’80% della retribuzione
percepita nell’ultimo mese di lavoro.
In ogni caso, molti contratti
collettivi prevedono un’ulteriore integrazione fino al 100%.
Pare opportuno sottolineare un aspetto: ai sensi del dettato dell’art. 56 del T.U.,
la
madre ha diritto non solo alla conservazione del proprio posto di
lavoro, ma anche, al termine del periodo di congedo, di rientrare nella
stessa unità produttiva ove operava all’inizio del periodo della
gravidanza.
Il congedo di paternità
Il congedo di paternità spetta ai lavoratori solamente in tre casi predeterminati dalla legge:
- morte o grave infermità della madre;
- abbandono del figlio da parte della madre;
- affidamento esclusivo del figlio al padre.
In questi casi, anche al padre spetta una indennità economica pari
all’80% della retribuzione giornaliera percepita nell’ultimo mese di
lavoro, ma il periodo coperto da questa indennità sarà solamente quello
dopo il parto (i tre mesi di cui si è parlato prima), o per la parte
residua che sarebbe spettata alla madre lavoratrice, a far data dalla
morte o grave infermità della madre, dall’abbandono o affidamento
esclusivo del figlio al padre.
Congedi parentali
A differenza che per i precedenti, per tali congedi è necessario fare un discorso a parte.
I congedi parentali sostituiscono la vecchia “astensione facoltativa” e sono stati introdotti nell’ottica di incentivare la cura dei figli da parte di entrambi i genitori.
Il periodo di assenza facoltativa che spetta ai genitori è di
complessivi dieci mesi,
continuativo o frazionato in più periodi, riconosciuto per ciascun
figlio nato o adottato/affidato e spetta fino al compimento degli 8 anni
di età del bambino, oppure entro gli 8 anni dall’ingresso in famiglia
del minore adottato/affidato.
La particolarità sta in questo: la madre può usufruire al
massimo di un congedo di sei mesi, mentre il padre potrà richiedere al
massimo il congedo per un periodo di sette mesi, a prescindere
dall’attività lavorativa (o casalinga) della madre.
Inoltre, qualora il padre scelga di usufruire del congedo parentale
per almeno 3 mesi, il periodo complessivo dei congedi per i genitori è
elevato a
11 mesi.
Le lavoratrici autonome hanno il diritto a fruire del congedo parentale per un massimo di
tre mesi entro l’anno di vita del bambino.
La pecca, se così possiamo chiamarla, di questa riformta struttura dei congedi parentale, resta senza dubbio il trattamento economico.
In questi casi infatti la retribuzione riconosciuta al lavoratore-genitore è molto modesta.
Viene riconosciuto un misero 30%
del totale, calcolato sull'ultima mensilità.
Non solo. Vi sono, inoltre, degli ulteriori limiti: per i
periodi di congedo compresi tra i tre e gli otto anni di vita del
bambino, l’indennità verrà corrisposta solamente a condizione che il
reddito individuale del genitore interessato sia inferiore a 2,5 volte
il trattamento minimo di pensione INPS.
Data l'importanza del tema e l'ampissima casisitica che si può verificare in casi di maternità, non esitate a contattarmi per qualsiasi dubbio o informazione.
Auguri ancora.
Guglielmo Mossuto.