lunedì 31 dicembre 2012

AUGURI DI BUON 2013 A TUTTI!!

Cari lettori e appassionati di diritto,
questo post è dedicato a tutti Voi che fin dal primo giorno avete sostenuto questa mia nuova attività su internet. L'avete diffusa, condivisa. 
Grazie a Voi sempre più persone mi scrivono per cercare un aiuto, un sostegno o anche solo per conoscere qualcosa in più di quel meraviglioso e vasto oceano che è il diritto italiano.
Vi ringrazio per tutto l'affetto che mi dimostrate, anche se molti di voi (ancora per poco, spero) non mi conoscono di persona.
Per tutto questo vi auguro TANTI TANTI AUGURI di un FELICE, FELICISSIMO 2013 ricco di soddisfazioni.
Cari amici, lasciamoci alle spalle (si spera) quest'anno di sofferenza, per molti non solo economica. Per ripartire. Tutti insieme, come persone, come Paese.

BUON ANNO!
Guglielmo Mossuto

domenica 30 dicembre 2012

CASA O FAMIGLIA? LA CORTE DIFENDE IL DIRITTO DI PROPRIETA'.



Con la pronuncia del 28 febbraio 2011 si può ritenere definitivamente superato quell’indirizzo giurisprudenziale consolidato che consentiva al genitore affidatario del figlio minore di continuare ad abitare nella casa dei suoceri.
In due casi la Suprema Corte ha mutato orientamento.
IL FATTO:
La problematica è la stessa in entrambe le fattispecie: il figlio si sposa ed i genitori concedono in comodato gratuito alla costituenda famiglia la loro casa di proprietà.
La famiglia si forma, arrivano i figli e con loro i problemi coniugali. Gli stessi che possono colpire qualunque coppia, ma che per alcune diventano insormontabili.
La situazione si rimedia con la separazione e con essa, nel 90% dei casi, i figli sono affidati alla madre e, per conseguenza, quella che è considerata la residenza familiare, ma che in realtà è la casa di proprietà dei suoceri, viene assegnata alla nuora.
Bel problema per quei mal capitati suoceri che oltre al matrimonio fallito del figlio, si vedono trafugare la loro bella casa di proprietà a tutto vantaggio della nuora.
Fino ad oggi, la Suprema Corte si era espressa nel senso di attribuire rilevanza primaria alle necessità insite dell’affidamento filiale quali la preservazione dell’habitat proprio dei figli e della famiglia di provenienza.
Il revirement segnato dalla sentenza n. 15986 del 7 luglio 2010, prima, e dalla sentenza n. 4917 del 28 febbraio 2011, dopo, sorprende perché fa prevalere il diritto di proprietà sui diritti dei bambini.
Nel primo caso la Corte ha usato come grimaldello la nozione di “comodato precario”di cui all’art. 1810 c.c.. Tale ipotesi si ha nel caso in cui la cosa è comodata senza determinazione di durata.
Il comodato precario è caratterizzato dalla circostanza che la determinazione del termine di efficacia del vincolo giuridico costituito tra le parti è rimesso alla sola volontà del comodante (proprietario). In altre parole, quest’ultimo può chiedere ed ottenere in qualunque momento la restituzione del bene.
Nel caso di specie, secondo la Corte, non assume rilievo alcuno la circostanza che l’immobile sia stato adibito ad uso familiare e sia stato assegnato all’affidataria dei figli.
Nel secondo e più recente caso, la suocera ha agito in giudizio nei confronti della nuora per richiedere la restituzione della propria casa poiché ne aveva un urgente bisogno stante che, la convivenza con l’altra figlia le era diventata insopportabile.
La Corte di Cassazione, a conferma delle precedenti pronunzie, ha stabilito definitivamente che il provvedimento di assegnazione adottato in sede di separazione non è per ciò solo opponibile al proprietario della casa coniugale allorché lo stesso ne chieda la restituzione nell’ipotesi di un sopraggiunto urgente e impreveduto bisogno ai sensi dell’art. 1809 c.c.. 
UNA RIFLESSIONE:
Seppure sia apprezzabile la tutela del diritto di proprietà riconosciuta con queste sentenze, tuttavia non posso appoggiare in toto la decisione della Suprema Corte.
Trovo che in questi particolari ragionamenti della Cassazione tuttavia è eccessivamente restrittiva la tutela che così si viene a garantire ai figli dei genitori che decidono di separarsi.

venerdì 28 dicembre 2012

LA CONCLAMATA "ATTITUDINE" AL DIVORZIO PUO' ANNULLARE IL MATRIMONIO.


Tra le recenti decisioni della Suprema Corte, quelle inerenti il diritto di famiglia e nella fattispecie il divorzio, sempre più spesso mi lasciano sgomento.
E' il caso di questa pronuncia della Cassazione Civile secondo la quale è nullo il matrimonio quando risulti che anche uno solo dei coniugi, già prima di sposarsi, aveva delle serie titubanze sull’indissolubilità del matrimonio e di tali convinzioni non abbia fatto menzione all’altro coniuge.
La Cassazione  ha infatti riconosciuto efficacia, anche all’interno dello Stato italiano, alla pronuncia della Sacra Rota (il cosiddetto tribunale ecclesiastico) che abbia acclarato la mancanza di serietà del fatidico “si” e, conseguentemente, abbia dichiarato nullo il matrimonio.
Insomma, la propensione al divorzio di uno dei due nubendi costituisce una scappatoia per far dichiarare nullo, non solo per la Chiesa, ma anche per l’ordinamento italiano, il “sacro vincolo del matrimonio”.
Secondo la Suprema Corte, affinché la nullità del matrimonio, dichiarata in sede religiosa, abbia efficacia anche in sede civile , è sufficiente che la sentenza del tribunale ecclesiastico sia fondata su testimonianze degli amici della coppia, dalle quali si evinca il proposito di uno dei coniugi di divorziare.
Bisogna dunque dare prova che il proprio partner, quando ha contratto matrimonio, non considerava l’unione come indissolubile e che tale convinzione non fosse stata da questi manifestata all’esterno. In questo caso, il “si” risulterebbe infatti condizionato e non sincero.
Ottenuta la pronuncia di nullità del matrimonio dal tribunale ecclesiastico, affinché tale sentenza esplichi i propri effetti anche nello Stato italiano, è necessario avviare presso la Corte d’Appello un procedimento detto “giudizio di delibazione”.
La sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, resa esecutiva nello Stato italiano tramite delibazione, consentirà di unirsi in nuove nozze con rito religioso cattolico .

Questa pronuncia conferma l’orientamento adottato già in passato dalla Corte. Infatti, con una sentenza del 2000, la Cassazione ha accolto il ricorso di un uomo che, solo dopo aver contratto matrimonio, aveva scoperto nella moglie l’intenzione di non osservare il dovere di fedeltà per tutta la vita.
Tuttavia il dubbio amletico resta: perchè sposarsi con l'intenzione di divorziare?
Guglielmo Mossuto

giovedì 27 dicembre 2012

RICONOSCIMENTO DI MATERNITA' E DI PATERNITA'



A seguito di una precisa richiesta di una mia lettrice,ecco alcune utilissime nozioni sulla filiazione e sul riconoscimenti dei figli.
Il nostro sistema giuridico distingue due diversi rapporti di filiazione: la FILIAZIONE LEGITTIMA e la FILIAZIONE NATURALE.
Quando nasce un bambino i cui genitori sono uniti fra loro da un matrimonio valido, egli acquisisce lo stato di FIGLIO LEGITTIMO automaticamente con la denuncia di nascita che può essere resa indifferentemente dalla mamma o dal papà.
Quando invece il bambino nasce da genitori non sposati fra di loro acquista lo stato di FIGLIO NATURALE.
Ciò avviene tramite l'atto di riconoscimento o la dichiarazione giudiziale del Tribunale (sentenza di un giudice).
E' importante precisare che il genitore che riconosce il figlio deve aver compiuto il sedicesimo anno di età (se è minore di 16 anni non può assumere i diritti e doveri connessi alla genitorialità e il figlio è affidato temporaneamente ad altre persone).
Il figlio naturale può essere riconosciuto da uno solo o da entrambi i genitori congiuntamente al momento della nascita.
Se ad effettuare il riconoscimento è un solo genitore (generalmente la madre), al figlio verrà attribuito il suo cognome.
Se invece il riconoscimento viene effettuato da entrambi i genitori congiuntamente al momento della nascita, il cognome attribuito sarà quello del padre.
Nel caso in cui il bambino, alla nascita, sia stato riconosciuto da un solo genitore, sarà sempre possibile, nel futuro, il riconoscimento da parte dell'altro con apposita dichiarazione posteriore alla nascita davanti all'ufficiale dello stato civile, al Giudice Tutelare o ad un Notaio. (Atto Pubblico o Testamento).
Se il figlio viene riconosciuto prima dalla madre e solo successivamente dal padre, acquisisce alla denuncia di nascita il cognome materno. Il seguente atto di riconoscimento paterno è determinante ai fini dell'attribuzione del cognome ma lo è altrettanto l'età del figlio:
- se il figlio è minorenne il cognome viene deciso dal Tribunale per i minorenni competente per territorio;
- se il figlio è maggiorenne può scegliere se assumere il cognome del padre in aggiunta a quello della madre, assumere il cognome paterno in sostituzione di quello della madre o mantenere quello della madre.
Se il figlio riconosciuto ha compiuto il sedicesimo anno di età deve dare il suo assenso al riconoscimento.
Se il figlio riconosciuto ha meno di 16 anni il genitore che per primo lo ha riconosciuto deve esprimere il suo consenso al riconoscimento successivo.

Altra situazione particolare è quella in cui si procede al riconoscimento di un figlio nascituro che viene utilizzata nel caso i genitori, al momento della dichiarazione di nascita non possano essere entrambi presenti, oppure nel caso di professioni pericolose. In questa eventualità, può essere effettuato il riconoscimento del bambino prima della nascita da parte della madre o di entrambi i genitori.

Esiste inoltre la possibilità che un bambino non venga riconosciuto dai genitori. In questo caso la dichiarazione di nascita verrà resa da chi ha assistito al parto e il cognome viene attribuito dall'ufficiale dello stato civile che deve seguire le indicazioni e i limiti indicati dall'ordinamento vigente.

La legittimazione, invece, attribuisce al figlio nato fuori del matrimonio (figlio naturale) la qualità di figlio legittimo.
Ciò avviene generalmente in seguito al matrimonio dei genitori naturali che hanno riconosciuto o riconoscono il figlio naturale.
E' importante inoltre precisare che in seguito all'entrata in vigore della leggesul diritto di famiglia del 1975 i figli naturali sono stati equiparati ai figli legittimi salvo per alcuni diritti successori.
Il disegno di legge in materia di filiazione, approvato dal Consiglio dei Ministri il 29 ottobre 2010, prevede che in futuro non ci siano più differenze fra figli naturali e legittimi.  Unico status giuridico, uguali diritti in materia di successione e di parentela, rivisti i diritti e i doveri nel rapporto tra genitori e figli: queste le più importanti novità introdotte dal provvedimento che ora dovrà essere esaminato dal Parlamento. I punti più rilevanti:
- si sposta l’attenzione dal concetto di “potestà dei genitori” al più generale concetto delle relazioni che intercorrono tra genitori e figli;
- accanto ai doveri dei genitori,  mantenimento, educazione e istruzione (già previsti dalla Costituzione), viene introdotto il diritto del figlio ad essere assistito moralmente, oltre che a crescere con la propria famiglia, ad avere rapporti con i parenti e ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano;
- s'introduce il principio generale della unicità dello stato giuridico di figlio, per effetto del quale le disposizioni in tema di filiazione si applicano a tutti i figli, senza distinzioni, salvi i casi in cui vi siano ragioni per distinguere i figli nati nel matrimonio da quelli nati fuori dal matrimonio (le definizioni di “figli nati nel matrimonio” e “figli nati fuori dal matrimonio”, sostituiscono quelle precedenti di “figli legittimi” e “figli naturali”, adeguando, in tal modo, il codice civile, alla formula lessicale adottata dall’articolo 30 della Costituzione);
- adeguamento della disciplina sulle successioni e sulle donazioni, al fine dell'eliminazione di ogni discriminazione tra figli;
- introduzione della nozione di abbandono, avendo riguardo alla mancanza di assistenza da parte dei genitori e della famiglia che abbia comportato un’irreparabile compromissione nella crescita del minore, fermo restando che non potranno costituire un ostacolo al diritto del minore a vivere nella propria famiglia, le condizioni di indigenza dei genitori;
- viene affermato il principio che il figlio riconosciuto è parente dei parenti del suo genitore;
- si prevede, ai fini del riconoscimento, un abbassamento da 16 a 14 anni, dell’età richiesta per esprimere il consenso.
Approfitto del post per ricordarvi che sono sempre disponibile a rispondere a qualsiasi domanda vogliate pormi e a qualsiasi approfondimento sul tema.
Guglielmo Mossuto

venerdì 21 dicembre 2012

STOP AGLI AUTOVELOX AUTOMATICI NEI CENTRI URBANI!



Ecco una interessante novità che di certo farà piacere a tutti gli automobilisti.
A seguito di un parere del Ministero dei Trasporti si è finalmente giunti ad una soluzione sul noto problema dei 'velox' cittadini:
Non si possono installare postazioni di autovelox automatiche (ossia senza la presenza di agenti) dopo i segnali di inizio del “centro abitato”, neanche se si tratta di comuni con meno di diecimila residenti.
Essi possono tuttavia essere installati prima di tali segnali, a congrua distanza da essi.
 Diverse sono poi le modalità a seconda del tipo di strada che si sta percorrendo e le limitazioni sono ulteriori:

1- Strade extraurbane nei centri abitati
Le strade extraurbane (per esempio, una strada statale) che attraversano un centro abitato perdono la caratteristica di strada extraurbana e, pertanto, su di esse non si possono più installare autovelox senza il presidio di un agente.
2- Strade a rapido scorrimento
Fanno eccezione a questa regola le strade extraurbane, che attraversano i centri abitati, a condizione che non siano dotate di intersezioni a raso, incroci e accessi privati e senza pedoni in circolazione. In tale ultimo caso, tali strade rimarrebbero strade extraurbane e su di esse sarebbe comunque concesso l’utilizzo di autovelox senza la presenza di operatori di polizia (previa autorizzazione del Prefetto).
Infine, resta invece invariata l apossibilità di utilizzo dei cosìddetti Autovelox presidiati, che  restano (senza ombra di dubbio) i più difficili da evitare e sopratutto da contestare.
In questi casi infatti non ci sono invece limiti all’utilizzo di autovelox, anche all’interno del centro abitato, se presidiati da almeno un organo di polizia stradale.

Guglielmo Mossuto.