Soprattutto negli anni passati era comune sentire una giovane coppia di sposini raccontare il loro trasloco nella casa di proprietà dei genitori dell’uno o dell’altro, di uno zio o comunque di un conoscente, a titolo gratuito.
Tutto procede
liscio fin quando la coppia non decide di separarsi....
A quel punto, cosa succede? Cosa ne sarà dell’immobile?
A quel punto, cosa succede? Cosa ne sarà dell’immobile?
La risposta a
questa domanda l’ha fornita la
Corte di Cassazione.
Nel caso di specie, la casa coniugale veniva affidata, come generalmente avviene, alla moglie che avrebbe continuato a viverci insieme ai figli; il terzo proprietario, volendo rientrare nel possesso del proprio immobile, ne richiedeva la restituzione immediata.
Il primo
grado si concludeva con una sentenza favorevole per la moglie in quanto avrebbe
potuto continuare a vivere nella casa coniugale; la Corte di Appello, invece,
ribaltando quanto stabilito in primo grado, dichiarava risolto il contratto di
comodato e ordinava alla signora la restituzione immediata del bene al
legittimo proprietario.
Ed è cosi che la questione è giunta dinanzi alla
Suprema Corte; gli “ermellini”, per giungere alla decisione, richiamano quanto
disposto dal codice civile riguardo il termine di conclusione del comodato che può
risultare sia espressamente dall'atto sia implicitamente mediante la previsione di un vincolo di destinazione d’uso
del bene.
Pertanto, il ragionamento seguito dalla Corte di Appello era corretto e perfettamente in linea con il dettato normativo.
Non è sufficiente, infatti, una mera destinazione di fatto del bene ad abitazione coniugale ma è necessario che la destinazione del bene in comodato ad uno specifico uso risulti dal contratto.
Precisala Corte ,
infatti, “.... si può
ravvisare un comodato a termine (implicito) solo quando risulti che le parti si sono accordate per la destinazione del bene ad un
determinato uso e tale intento abbiano manifestato alla data della conclusione
del contratto.”
Quindi, non basta dimostrare che era stato concesso l'utilizzo dell'immobile come casa coniugale ma questo particolare uso dell'abitazione dovrà risultare espressamente dal testo del contratto.
Pertanto, il ragionamento seguito dalla Corte di Appello era corretto e perfettamente in linea con il dettato normativo.
Non è sufficiente, infatti, una mera destinazione di fatto del bene ad abitazione coniugale ma è necessario che la destinazione del bene in comodato ad uno specifico uso risulti dal contratto.
Precisa
Quindi, non basta dimostrare che era stato concesso l'utilizzo dell'immobile come casa coniugale ma questo particolare uso dell'abitazione dovrà risultare espressamente dal testo del contratto.
Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, in sede di separazione, non rileva; il diritto di abitazione spettante al coniuge, infatti, è soggetto alla disciplina del titolo che lo ha originato, nel caso di specie dal contratto di comodato.
Qualora non risulti dal testo del contratto la destinazione ad abitazione coniugale, quindi, il proprietario potrà far valere le proprie pretese in giudizio, avanzando richiesta di rilascio e restituzione immediata dell'immobile dinanzi al giudice dell'esecuzione.
*Ordinanza n. 23567 del 16/10/2013.
Avv. Guglielmo Mossuto
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