martedì 12 novembre 2013

SCANDALOSO.....TAGLI ALLE PENSIONI DEGLI ITALIANI MA CRESCONO INVECE QUELLE DEI PARLAMENTARI.....PENSIONI D'ORO e PENSIONI DI LEGNO, QUANDO L'ARIA NUOVA PORTA ANCHE DISAGI.


La tanto famigerata “spending review” di cui abbiamo sentito tanto parlare negli ultimi mesi e di cui sentiremo ancora parlare, non sembra, per ora, aver portato a grandi traguardi.
In seguito alla caduta del Governo Monti e all’inizio della nuova legislatura con Letta, è stato ampio il ricambio di parlamentari e questo ha vanificato la riduzione dei vitalizi che era stata promessa ai cittadini e che, in parte, era stata realizzata.
Da marzo 2013, infatti, ben 237 onorevoli in più usufruiscono di contributi previdenziali e questo ha portato ad un aumento della spesa pubblica per pensioni e vitalizi pari a circa 7 milioni di euro, rispetto al 2012 ( +1,63% alla Camera dei Deputati e + 6,22% al Senato) L’aria nuova fa sempre bene certo, ma in questo caso non sembra sia cosi per le casse dello Stato; 113 senatori e 124 deputati che alla fine del mandato avevano tutti i requisiti per poter beneficiare dell’assegno previdenziale.

Certo, i tagli alla spesa pubblica ci sono stati ma, come affermato da Stefano Dambruoso, questore della Camera dei Deputati, “purtroppo i tre quarti del bilancio se ne vanno in stipendi e pensioni di deputati e senatori. Si tratta di diritti acquisiti difficilmente tagliabili in modo drastico senza intaccarli”.

Ma vediamo un attimo come viene calcolata la famigerata pensione dei parlamentari; dal 2012 è stato abbandonato il metodo retributivo a favore di quello contributivo, in tal modo la pensione viene corrisposta in proporzione ai contributi versati, come avviene per tutti gli altri lavoratori, tuttavia, le nuove regole si applicano con il sistema pro-rata, e quindi valgono solo per quella parte di pensione maturata dopo il 31 dicembre 2011.

La pensione per i parlamentari scatta solo dopo un’intera legislatura (5 anni) e non più dopo soltanto mezza legislatura, come avveniva in precedenza. A tale criterio di aggiunge quello riguardante l’età: il parlamentare deve infatti aver raggiunto i 65 anni di età, soglia anagrafica che scendeva progressivamente fino a 60 anni per ogni anno di permanenza in Parlamento superiore al quinto.
Ancora, Dambruoso spiega come le cose potranno andare a migliorare, ma ci vorrà tempo, molto tempo, in quanto sarà necessario attendere la scomparsa dei vecchi benefici, ormai maturati:
“I tre quarti del bilancio di Montecitorio è fatto di pensioni e stipendi di deputati e dipendenti, spesa non facilmente aggredibile perché riguarda diritti acquisiti. La quota di spesa su cui si può facilmente intervenire è pari a meno di 300 milioni su un totale di circa un miliardo. Nel medio-lungo periodo comunque e nuove regole produrranno maggiori benefici perché spariranno progressivamente i trattamenti privilegiati pre-riforma e i nuovi parlamentari che andranno in pensione avranno trattamenti di minor favore.

Quindi all’italiano medio non resta altro che attendere, con speranza certo, quella speranza che l’ha aiutato ad andare avanti in questi anni, con €. 900,00 mensili di stipendio o di pensione, con affitti da pagare e cibo da comprare…aspettare, perché la situazione migliorerà (per forza!)…e non pensare che c’è chi ha il coraggio di dire che “sono tempi duri!” riscuotendo ogni mese €.3000/€.4000.


Avv. Guglielmo Mossuto

lunedì 11 novembre 2013

ANNULLABILI LE MULTE DEGLI SPEED-CHECK! LO SCANDALO DI QUESTO RILEVATORE DI VELOCITA'

 
Annullabili le multe inflitte in seguito al rilevamento di uno speed-check. Tali strumenti non sono omologati.

Le colonnine fisse arancioni che vediamo spuntare come funghi ai lati delle strade comunali al fine di rilevare la velocità in maniera continuativa e, nel caso, segnalare eventuali infrazioni, non sono legali!; infatti, anche vengono installate, proprio dai Comuni, come deterrenti alla circolazione veicolare e come rilevatori automatici della velocità, gli speed-check, noti anche come Velo ok, non sono stati ancora né approvatiné tanto meno omologati dal Ministero e, proseguendo per questa strada, risulta difficile immaginare che ciò possa avvenire.

Il Ministero, infatti, afferma che "L’eventuale impiego come componenti della segnaletica non può essere autorizzato in quanto i manufatti non sono riconducibili ad alcuna delle fattispecie riconosciute dal vigente regolamento. Nel caso di installazione a bordo strada deve essere valutata la possibilità che tali manufatti possano costituire ostacolo e pertanto esiste l’opportunità di proteggerli adeguatamente ai sensi della vigente normativa in materia di dispositivi di ritenuta”.

Allora? A cosa servono? Semplicemente possono nascondere al loro interno i comuni autovelox, con la conseguente necessità di una pattuglia a presidio e di un’adeguata segnaletica almeno 400 metri prima. Si applica, infatti, l’intera disciplina dei normali autovelox.

Gli speed-check dunque andrebbero rimossi, ancor più velocemente se si pensa al fatto che cresce sempre più il numero di incidenti da questi provocati. Queste colonnine arancioni sono, infatti, collocate a bordo strada, pertanto devono essere segnalate e protette, potendo costituire un ostacolo per la circolazione stradale. Molte sono le vite perse a causa di questi strumenti.
Il Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture è stato chiaro, ma i Comuni sembrano non recepire il messaggio inviatogli da Roma tanto che si è giunti persino ad ipotizzare il reato di danno erariale da parte dei Comuni. Ebbene si! Infatti, spendere soldi per un oggetto non a norma e non omologabile costituisce reato e sono tanti, troppi, i soldi già spesi per l’acquisto degli speed-check, il cui costo unitario varia da 2000€ a 5000€.

Alla luce di tutto ciò, chiunque abbia ricevuto una multa a seguito di un’infrazione rilevata dagli speed-check sarà legittimato a non pagarla e ad ottenerne l’annullamento e coloro i quali hanno in qualunque modo subìto un danno dalla presenza di queste colonnine lungo la strada, si faccia avanti e faccia valere i propri diritti, che sono numerosi!

Avv. Guglielmo Mossuto

domenica 10 novembre 2013

CHI HA UN CASO DI USURA BANCARIA, FINANZIARIA O PRIVATA MI CONTATTI

CHI HA UN CASO DI USURA BANCARIA, FINANZIARIA O PRIVATA MI CONTATTI....POSSIBILITA' DI FAR CONOSCERE LA VOSTRA STORIA A LIVELLO MEDIATICO NAZIONALE.

giovedì 7 novembre 2013

DIMINUZIONE DEL REDDITO-DIMINUZIONE DELL’ASSEGNO MENSILE: SI PUO’!

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La crisi ha colpito milioni di famiglie e continua, inesorabilmente, a farlo tutt’oggi.
In seguito alla riduzione di stipendio a causa della crisi, il coniuge divorziato obbligato al mantenimento, può chiederne una riduzione.
Il momento di svolta è quello della pronuncia della sentenza di divorzio; se, infatti, il coniuge guadagna meno rispetto a quanto dichiarato durante il procedimento, egli potrà richiedere una modifica delle disposizioni in materia patrimoniale riguardanti mantenimento e contributi per “giustificato motivo sopraggiunto” e pertanto pretendere un adeguamento dell’assegno.
Tuttavia la perdita o diminuzione della fonte di reddito del coniuge obbligato deve rispondere ad alcuni requisiti.
In primis la riduzione deve essere tale da provocare uno squilibrio economico tra i coniugi. A fronte di una effettiva diminuzione delle disponibilità economiche del coniuge obbligato, la famiglia non può pretendere quanto l’altro non può più corrispondere e, pertanto, dovrà adeguarsi e dovrà adattare alle nuove condizioni economiche anche il proprio tenore di vita.
La diminuzione del reddito deve essere oggettiva e pertanto, il coniuge impoveritosi sarà obbligato a provarla in sede giudiziale, mediante dichiarazione dei redditi o qualsiasi documentazione attestante tale riduzione.

Avv. Guglielmo Mossuto

Casa coniugale in comodato: la destinazione deve risultare dal contratto.


Soprattutto negli anni passati era comune sentire una giovane coppia di sposini raccontare il loro trasloco nella casa di proprietà dei genitori dell’uno o dell’altro, di uno zio o comunque di un conoscente, a titolo gratuito.
Tutto procede liscio fin quando la coppia non decide di separarsi....
A quel punto, cosa succede? Cosa ne sarà dell’immobile?
La risposta a questa domanda l’ha fornita la Corte di Cassazione.

Nel caso di specie, la casa coniugale veniva affidata, come generalmente avviene, alla moglie che avrebbe continuato a viverci insieme ai figli; il terzo proprietario, volendo rientrare nel possesso del proprio immobile, ne richiedeva la restituzione immediata.

Il primo grado si concludeva con una sentenza favorevole per la moglie in quanto avrebbe potuto continuare a vivere nella casa coniugale; la Corte di Appello, invece, ribaltando quanto stabilito in primo grado, dichiarava risolto il contratto di comodato e ordinava alla signora la restituzione immediata del bene al legittimo proprietario.

Ed è cosi che la questione è giunta dinanzi alla Suprema Corte; gli “ermellini”, per giungere alla decisione, richiamano quanto disposto dal codice civile riguardo il termine di conclusione del comodato che può risultare sia espressamente dall'atto sia implicitamente mediante la previsione di un vincolo di destinazione d’uso del bene.

Pertanto, il ragionamento seguito dalla Corte di Appello era corretto e perfettamente in linea con il dettato normativo. 

Non è sufficiente, infatti, una mera destinazione di fatto del bene ad abitazione coniugale ma è necessario che la destinazione del bene in comodato ad uno specifico uso risulti dal contratto.

Precisa la Corte, infatti, “.... si può ravvisare un comodato a termine (implicito) solo quando risulti che le parti si sono accordate per la destinazione del bene ad un determinato uso e tale intento abbiano manifestato alla data della conclusione del contratto.

Quindi, non basta dimostrare che era stato concesso l'utilizzo dell'immobile come casa coniugale ma questo particolare uso dell'abitazione dovrà risultare espressamente dal testo del contratto.

Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, in sede di separazione, non rileva; il diritto di abitazione spettante al coniuge, infatti, è soggetto alla disciplina del titolo che lo ha originato, nel caso di specie dal contratto di comodato. 

Qualora non risulti dal testo del contratto la destinazione ad abitazione coniugale, quindi, il proprietario potrà far valere le proprie pretese in giudizio, avanzando richiesta di rilascio e restituzione immediata dell'immobile dinanzi al giudice dell'esecuzione.

*Ordinanza n. 23567 del 16/10/2013.

Avv. Guglielmo Mossuto